BURLESQUE ANNI SESSANTA

Eravamo i ragazzi di quel tempo, ( oggi ci chiamerebbero teenagers ) ed avevamo l’abitudine di organizzare feste da ballo con luci stroboscopiche dell’epoca (due lampadine a intermittenza ), con cotillons ma senza premi, ogni domenica in una casa di famiglia diversa dove, nel salotto, si ospitavano in media una trentina tra ragazzi e ragazze, per darsi alla pazza gioia di poter stringere per qualche secondo la persona dell’altro sesso, che costituiva tabù per il resto della settimana.

Per noi era come se si trattasse di una burlesque dei poveri, ma non sapevamo che si chiamasse così.

Le madri, arcigne come Cerbero, provvedevano a vigilare le coppie danzanti e a lanciare occhiate di rimprovero alla minima occasione in cui si accorgevano che le coppie stavano troppo vicine.

 Dovevamo stare tutti a distanza Covid, si direbbe oggi, altrimenti erano guai.

Parimenti intervenivano non appena qualcuno spegneva la luce.

Le spese del rinfresco erano ripartite tra tutti i partecipanti, esclusi gli ospitanti. Il menu era composto da patatine fritte, noccioline, acqua, aranciata e coca cola in bottiglie da due litri perché rendevano di più.

Il massimo dello sballo era costituto da una bottiglia di vermouth chinato e  a chi mi chiedeva il perché del suo nome rispondevo che bisognava berlo obliqui.

La festa iniziava con balli suggeriti dai cantanti di moda in quel tempo, ovvero Peppino di Capri, Fred Bongusto e così via. Quando volevamo andare sull’esotico ascoltavamo Paul Anka che con la sua fantastica “Diana” faceva innamorare perdutamente i danzatori.

Dopo aver gozzovigliato ( sic! ) e ballato a volontà, con uno scrutinio segreto severissimo, veniva eletta la più bella della festa, la reginetta. Logicamente le ragazze erano escluse dal voto per evitare che ognuna votasse per se stessa, come era già avvenuto qualche volta.

Una sera venne eletta Margherita, una mora tutto pepe, ben carrozzata, labbra al miele e con un sorriso talmente accattivante che faceva sognare baci da sturbo.

Non l’avevo mai incontrata prima.

Una volta eletta, la vincitrice si metteva al centro della stanza con un foglio per prendere appunti e segnare i voti che impartiva alle dichiarazioni d’amore che riceveva da parte di ogni maschio.

Assistevo con molta curiosità alle dichiarazioni  che la bella Margherita riceveva, ed erano tutte del tipo:

“Dal primo momento che ti ho vista…..”

“Ti sogno di giorno ma ti vorrei di notte…”

“La mia vita senza di te è da buttare via…”

“Mi piace il tuo corpo ma vorrei anche la tua anima…”

“Non riesco a vivere senza di te…”

E così via.

Mentre aspettavo il mio turno, catalogavo questa serie di banalità, per cui mi preparai una cosa extra ordinem e dissi: “Margherita, la mia anima pamsichica che traspare dai tuoi occhi – in mistica simbiosi con l’archetipo essenziale creatore del Cosmos – riaffiora metempsichicamente nell’equinozio di autunno, tra lattescenti universi ebbri di fuoco.”

La ragazza rimase di sasso e, non volendo ammettere che non aveva capito nulla, mi disse che non era d’accordo.

Uno sconcerto generale  travolse gli astanti, accompagnato da una serie interminabile di buuu! che coprirono la mia voce, per cui non potetti replicare nulla.

Volevo solo dire che non ci stavo a ripetere cose trite e ritrite, copiate dai fotoromanzi che a quei tempi andavano per la maggiore e che non potevo credere che una splendida ragazza come Margherita apprezzasse quelle banalità che facevano ridere i polli. Pensavo che avrebbe compreso la provocazione premiando la mia proditoria sfacciataggine.

 Ma con mio grande disappunto, alla fine delle dichiarazioni la ragazza lesse la classifica che aveva annotata sul foglio, cominciando dall’ultimo: “Vittorio!” e via di seguito tutti gli altri. Il vincitore risultò Dario il quale ebbe per premio un bacio da Margherita. Tutti lo osannarono: “Sei grande, un vero poeta, un grande letterato, un vero mago che ammalia le ragazze. Beato te!”

Lasciai la festa sentendomi come un genio incompreso ma senza dispiaceri. In fondo quella reazione me l’ero meritata ma mi promisi di tornare sull’argomento alla prima occasione di incontro con Margherita.

L’occasione si presentò ad una festa successiva dove c’era anche lei.

La invitai subito a ballare e lei, d’impulso, mi chiese: “Mi sveli cosa volevi dire l’altra volta quando mi hai fatto quella insulsa dichiarazione?” “Certo”, le risposi. “Ma era così evidente! Volevo soltanto dire che il parallasse euclideo-pitagorico dell’animo umano mal si concilia con il pensiero atavico senza il sincretismo platoniano.”

Mi indirizzò lo stesso sguardo attonito e basito con il quale mi aveva bocciato la volta precedente e mi disse: “Ma non ti sembra che sia ora di smetterla con queste stronzate?” “Ebbene sì” le risposi “volevo mettermi in evidenza e farmi notare da te, uscendo da tutte quelle baggianate che ti hanno dedicate i tuoi amici. E mi pare che la cosa ti sia rimasta molto impressa perché è stata la prima che mi hai chiesto. Evidentemente sono riuscito nel mio intento e merito un premio.” “Cioè?” “Il bacio che meritavo l’altra volta” le risposi. “Finalmente dalla tua bocca esce una cosa comprensibile. Ma qui, in mezzo a tanti, non posso dartelo. Ma in fin dei conti, perché dovrei?” Guardandola fisso nei suoi  magici occhi le dissi: “Perché ti amo. Perché dal primo giorno che ti ho vista…” Mi interruppe subito dicendomi che ero un grande fesso che faceva le dichiarazioni d’amore come quelli della festa e che ha messo in moto tutto questo stratagemma al solo scopo di farmi cadere in trappola. “Ebbene, ci sono cascata, ma consciamente”. E mi diede un bacio, Udite! Udite!, proprio lì, davanti a tutti.

Diventò la mia fidanzatina per qualche anno ma per tutto quel periodo fummo costretti dai tempi che vivevamo, a comportarci come i protagonisti della farsa di Foot e Marriott “Niente sesso, siamo inglesi.”

Vit

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