UN POPOLO SENZA PAROLE, SENZA VOLTO

Beaumont sur Mer

La nozione di cittadino, da Aristotele in poi, è senza alcun dubbio legata alla dimensione politica. “Cittadino” è chi contribuisce in modo attivo al processo di elaborazione delle decisioni collettive. Con le parole di Rousseau, è chi “partecipa dell’autorità sovrana”.
Osservando ciò che accade in questa fase politica in Italia il problema però sembra essere non la mancanza di proposte e la vitalità di una società, quanto l’apertura e la disponibilità della politica ad includere e fertilizzare ciò che dal basso emerge. Tuttavia, oggi la nozione di cittadinanza sembra aver perso qualsiasi connotazione politica, qualsiasi riferimento alla dimensione dell’impegno e della partecipazione.
Manifesti, appelli, proposte, eventi, pratiche d’innovazione sociale sembrano rimbalzare contro un muro di gomma fatto di conversazioni che appassionano solo gli addetti ai lavori ed i divoratori seriali di polemiche e social network. Sempre più assorbiti e sempre più inerti, osserviamo un dibattito politico che più che stimolare partecipazione e dialogo spesso tende a svuotare le parole dal loro significato, riducendo così la responsabilità dei cittadini (si pensi al tema del lavoro spesso ricondotto ad una questione di mero reddito).
Oltre al linguaggio verbale, esistono molti altri modi di comunicare: baciarsi, toccarsi, ridere, disapprovare, e anche ‘non parlare’. Tuttavia parlare è di gran lunga il miglior modo per rendere chiara ed esplicita la comunicazione tra gli esseri umani. Gli altri modi di comunicare sono molto importanti, ma perché siano d’aiuto, prima bisogna essere in grado di parlare.
Nella quotidianità abbiamo molte ragioni per parlare. Alcune sono ovvie (dire ai bambini di non toccare la stufa calda, raccontare una barzelletta, chiedere i risultati delle partite di calcio, informarsi degli ultimi acquisti, ecc.), altre, invece, lo sono molto meno, come il semplice desiderio di essere ascoltati.
Ascoltare chi abbiamo di fronte e ci comunica qualcosa è una capacità in via di estinzione. Ascoltare bene è molto di più che limitarsi a parlare di meno: è un insieme di capacità di domandare e rispondere, mostrare interesse in ciò che l’altro dice piuttosto che prepararsi una risposta, un giudizio, un consiglio.
In molte circostanze, in particolare quando le cose vanno male, parlare aiuta a togliersi un peso dallo stomaco e serve per essere ascoltati. Un esempio abbastanza comune è il comportamento dei bambini. Se rimproverate vostro figlio, spesso dopo lo sentirete bofonchiare con il suo orsacchiotto o redarguire il suo pupazzo preferito ‘rifacendovi il verso’.
Non si tratta esattamente di un dialogo o di una conversazione, ma ha una sua utilità, perché allenta la pressione. Questo ha una sua importanza perché noi siamo in grado di sopportare il carico di tensione solo fino ad un certo punto. Non oltre.
I sentimenti inespressi prima o poi fanno male. Non più ricerche con manuali ed enciclopedie che producevano effetti benefici sulla memoria e sulla cultura, ma ricerche copiate e incollate da internet che non fanno altro che degenerare il quoziente intellettivo, rendendo tutto più disponibile, semplice e banalmente intuitivo.
L’ascolto politico, per esempio, presuppone in chi lo realizza la capacità e la disponibilità ad accogliere le emozioni dei suoi interlocutori, sapendo, però, nei limiti delle umane possibilità, gestire le proprie: il cosiddetto controtransfert. Ciò non significa, naturalmente, che il personale politico impegnato in tale attività di ascolto sia privo di emozioni e sentimenti e che nel corso dell’incontro non vengano stimolati in esso degli stati emotivi, ma significa che esso cerchi di evitare che questi prorompano nel momento dell’ascolto. Il che, però, è più facile a dirsi che a farsi.
Tutti pensiamo di saper ascoltare. Invece lo facciamo sempre meno. Ci arrocchiamo sulle nostre posizioni e (se va bene) attendiamo che l’altro dica la sua solo per ribattere. Ma ora c’è chi sfrutta la fretta giudicante per raccogliere consenso politico e contrastare la creazione di un’intelligenza collettiva. È un pericolo enorme per la società. Che una cultura dell’ascolto attivo potrebbe contrastare. Se ognuno di noi – nessuno escluso – si mettesse in discussione.
Non più giochi nel cortile di casa con gli amici del paese, ma giochi in virtuale con sfide anche tra chi abita a due metri di distanza. Non più inseguimenti dell’amata/amato nel locale che frequenta con la speranza di trovarla/o. Basta contattare Facebook, che rende più semplice l’approccio e il corteggiamento. Non è solo di questo che vive l’uomo. Negli ultimi tempi si assiste sempre più frequentemente al dialogo impossibile tra cittadini e istituzioni.
Eppure, secondo gli esperti, la diffusa incapacità di ascoltare ha conseguenze molto serie, sia per l’individuo, sia per chi detiene il potere. Non ascoltare gli altri ha un potere distruttivo, perché rende più difficile il dialogo, che si realizza con l’interesse di comprendere ed essere compreso. L’incapacità o la voglia di non ascoltare rappresenta una vera violenza psicologica, perché crea un sentimento di abbandono e svalorizzazione nell’interlocutore che a lungo andare si si trasforma in risentimento.
ll crescente distacco tra cittadini e istituzioni che si registra nella maggior parte delle liberal-democrazie contemporanee non è ascrivibile solo al qualunquismo, disinteresse o protesta, più o meno consapevole, nei confronti di una classe politica inadeguata e corrotta. È indice di qualcosa di più grave: una radicale perdita di fiducia nella democrazia come veicolo di cambiamento ed emancipazione sociale, che oggi interessa in particolare i più poveri e i più svantaggiati.
Protezionismo, nazionalismo, razzismo, muri, frontiere, paura verso tutto ciò che è diverso non sono state un tempo e non possono essere oggi la soluzione. È vero che la storia non si ripete mai sotto le medesime spoglie, ma è fondamentale ricordare a cosa hanno condotto queste ricette. Alimentare le pulsioni più vili che sono sedimentate nel profondo di una società può provocare danni incalcolabili.
Un popolo che non conosce la strada già percorsa, non può sapere in quale direzione andare. 
Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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