UNA STORIA ITALICA

Beaumont sur Mer

“Something is rotten in the state of Denmark”. Si tratta della celebre frase pronunciata da Marcellus, ufficiale danese, nell’Amleto di William Shakespeare (Atto I, scena IV), durante la prima apparizione dello spettro: “C’è del marcio in Danimarca”.
Giovanni Boccaccio nell’apologia della quarta giornata del Decameron deve rispondere alla critica di aver deformato la realtà: Boccaccio dice con una certa supponenza che se i fatti non sono andati esattamente come dice lui, allora si portino gli originali. Una delle critiche contenute nel Decameron è proprio sulle false reliquie dei santi e sulle false storie e prodigi che circolavano su di esse. Una su tutte quella di frate Cipolla.
Si arriva così ai tempi moderni e alle cosiddette fake news anti litteram. Nel 1930, Amadeo Bordiga fu espulso dal Partito comunista d’Italia, gli stessi fascisti al potere – che già avevano inflitto a Bordiga un arresto e tre anni di confino – sulle prime non ci credettero: era il fondatore del partito, suo primo segretario, già direttore de “Il comunista”, membro dell’esecutivo dell’Internazionale. Ma espulso, perché “eretico”.
I partiti comunisti, e quello italiano in particolare, sono stati spesso accostati in metafora a una Chiesa, con le loro liturgie, le loro gerarchie e soprattutto i loro dogmi. Bordiga ne aveva infranti parecchi, nei convulsi anni della nascita del Partito comunista italiano – che coincidevano con la presa del potere da parte dei fascisti. Uno su tutti: aveva pubblicamente messo in discussione l’infallibilità del Capo. 
Particolarmente dura fu la posizione del napoletano Amadeo Bordiga, il cui intervento al congresso fu la dura recriminazione nei confronti di tutta la storia socialista, una storia di insuccessi e concessioni verso la quale non si doveva riconoscere, il benché minimo debito politico da parte del neonato partito. Ci fu, durante il rapimento Moro, una sorte di rigurgito liturgico e dogmi clericali.
Fra tutti gli scritti di Moro analizzati da Sciascia, ce n’è uno particolarmente pertinente al percorso qui di seguito e che va presentato con una minima premessa. Il 4 aprile 1978, a circa venti giorni dal sequestro (avvenuto, il 16 marzo in via Fani a Roma), Moro indirizzò una lettera a Benigno Zaccagnini, segretario della Democrazia Cristiana, ricordandogli che «
“moralmente sei tu ad essere al mio posto, dove materialmente sono io”, poiché Moro fu eletto presidente della DC nel luglio 1976 nonostante avesse espresso a Zaccagnini la volontà di ritirarsi dalla politica: senza quell’incarico l’uomo politico riteneva che non sarebbe stato rapito, e non gli si può dare torto.
Con questa drammatica premessa Moro chiese a Zaccagnini, e per suo tramite a tutti gli amici di partito, di farsi parte attiva in una trattativa che portasse alla sua liberazione, richiamando dei precedenti in cui lui stesso aveva espresso la necessità di trattare quando era in pericolo la vita degli ostaggi, sostenendo che importanti colleghi democristiani come Luigi Gui e Mario Tanassi avrebbero senz’altro confermato questa sua posizione.
Poi, a quasi 50 anni da quel pasticcio, il vento del Covid ha portato la novità dei Fratelli d’Italia” al comando della democrazia parlamentare Italiana. Sistemandosi all’interno di quelle istituzioni liberal-democratiche che avevano combattuto e che disprezzavano dalla radice. “Il 25 aprile è nata una puttana, le hanno dato nome, Repubblica italiana” cantavano quei camerati, salvati alla fine del conflitto mondiale dagli Alleati anglo-americani ormai protesi verso la Guerra Fredda anticomunista.
Le radici profonde di questa destra (fin dal dopoguerra radicalmente “atlantica”) riemergono oggi dalla voce di Giorgia Meloni o nel loro identitario essere classista che dichiara apertamente di “non voler disturbare” industriali e ceti proprietari; di voler avversare i migranti; di promuovere la guerra contro le donne che non vogliono omologarsi all’essere soltanto “madri e cristiane”, come urlato nei comizi filo-franchisti di Vox in Spagna.
Rispetto al governo di Destra di oggi tornano alla mente le parole dell’epigrafe che Piero Calamandrei scrisse, all’indomani delle elezioni del giugno 1953, rivolgendosi ai partigiani caduti della Resistenza: “Non rammaricatevi dai vostri cimiteri di montagna se giù al piano, nell’aula dove fu giurata la Costituzione murata col vostro sangue, sono tornati, da remoti e non tanto misteriosi infratti, i fantasmi della vergogna”. Il falso racconto del passato, finalizzato al governo del presente, propalato oggi dalle alte cariche dello Stato. Le parole del presidente del Senato, Ignazio La Russa, “sono semplicemente indegne per l’alta carica che ricopre e rappresentano un ennesimo, gravissimo strappo tesa ad assolvere il fascismo e delegittimare la Resistenza”. Così il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo, dopo l’uscita infelice della seconda carica dello Stato.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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