L’ASSURDITA’ DI ALCUNI ESSERI

“Io, di rozzo stampo, deforme, mal finito, precipitato anzi tempo nel mondo. Così goffo e sbilenco che anche i cani mi abbaiano quando passo.. Io, in questo fiacco tempo di pace, non ho altro passatempo che contemplare la mia ombra nel sole e comporre infinite fantasie sulla mia deformità.” Dal Riccardo III di Shakespeare.
Fra la malvagità più iconica creata da Shakespeare, “Riccardo III” sa blandire e manipolare le coscienze: la sua ascesa inarrestabile, insieme alla discesa verso l’abisso, è metafora perfetta del potere. Riccardo è un personaggio orrendo, deforme, mostruoso, dotato di una mente perversa e di una sfrenata ambizione. Il suo animo è violento, alimentato da una irrefrenabile ira senza freni che rivolge contro tutti coloro che ostacolano la sua brama. Al tempo stesso questo uomo incarna la figura dello splendido seduttore, che con abilità manipola ferite e rancori degli altri per farne gli strumenti della propria scalata al potere.
Lui è sicuramente il figlio legittimo di una classe dirigente consumata dalla sete di potere, corrotta allora come oggi, e destinata a essere spettatrice, e complice, del trionfo e della caduta di tutti i regimi maligni. Sarebbe bello poter fronteggiare tutto questo con opere pittoriche, musicali, architettoniche e scultoree.
Nell’operare umano vi sono delle arti che richiedono un’esecuzione e sono quelle in cui l’esecuzione è una parte ben distinta dalla fase creativa; anche se a volte si dà il nome di creazione alla prima rappresentazione di un’opera teatrale, in cui l’esecutore è altro dall’autore del testo. La differenza fra autore ed esecutore si potrebbe considerare minima nel rapporto fra coreografo-autore e ballerino. Questo perché il balletto è risaputo che, non esiste al di fuori dalla sua esecuzione, dato che innanzitutto non dispone di un sistema di segni ben definito e, d’altro canto, la qualità dell’esecuzione è certamente più importante che in altre espressioni artistiche.
Dunque, se l’autore, il musicista o il ballerino si dicono artisti lo fanno in virtù del fatto che sono indispensabili all’opera. La differenza fra creazione ed esecuzione è molto più e rilevante fra l’architetto e l’esecutore materiale della struttura. Potrebbe anche succedere che il capomastro abbia a sua disposizione, oltre ai manovali e artigiani, dei veri artisti come scultori, pittori, cesellatori, allora si tratterebbe di una collaborazione dove gli artisti non sono dei meri esecutori. A tale proposito anche un regista teatrale a volte usufruisce dell’apporto artistico di pittori e compositori musicali.
Secondo Aristotele, l’esecutore trova la sua volontà nell’opera, come lo schiavo la trova nel padrone. Diverso è per il pittore o lo scultore dove l’esecuzione coincide con l’autore. In questo caso la creazione è esecuzione. Il creativo può fare a meno dell’esecutore perché ne prende il posto. Ciò che il muratore fa con la sua cazzuola per la casa o la struttura pubblica, secondo quando richiesto dall’architetto, lo fa anche il pittore con i suoi pennelli.
Il vero architetto, a questo punto, crea l’opera e contemporaneamente la conduce alla sua esistenza definitiva. L’opera, di conseguenza, non aspetta altro che l’eredità storica dallo sguardo umano la renda oggetto estetico. L’opera per il pittore sarà “fissata” nella tela, mentre per ‘l’architetto sarà rappresentata dalla pietra e il cemento.
La sua piena realtà l’opera la ottiene attraverso gli occhi di chi l’osserva e trova anche la sua consacrazione da parte di una conoscenza obiettiva, che assicurerà che non si tratta di fenomeno illusorio. L’opera architettonica necessita un pubblico come pure l’autore. In conclusione, il pubblico partecipa doppiamente alla rappresentazione di un’opera: come comparsa in un pubblico, collabora all’esecuzione dell’opera nel momento in cui si appresta ad ‘apprenderla; e come coscienza solitaria accoglie l’opera per operarne la metamorfosi in oggetto estetico.
L’opera a questo punto necessita di un testimone. Come l’uomo vuole essere riconosciuto dall’uomo, essa ha bisogno dell’uomo per essere riconosciuta come oggetto estetico. La struttura o il monumento muove il visitatore secondo la propria logica architettonica, facendo in modo che in ogni momento è interamente presente e tuttavia inesauribile.
Questa inesauribilità si manifesta anche nello spettatore immobile di un’opera lirica o di un balletto. Questa ‘verità’ dell’opera ci è presente non appena siamo presenti all’opera, e anche se non possiamo dirlo, l’opera agisce in noi che attraverso il gusto abbiamo la possibilità di innalzarci a quanto c’è di universalmente bello nel genere umano. E, pur non essendo creativi, possiamo almeno rendere omaggio alla bellezza di cui è portatrice sana gran parte dell’umanità.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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