COME RICOMPARIRE

Beaumont sur Mer – L’incorruttibilità in politica è uno degli aneliti più frequenti. Abbiamo anche avuto personaggi che ci hanno costruito sopra un partito, dal programma tanto ideale quanto fumoso e improbabile. Naturalmente l’onestà costituisce un dovere e costituirebbe un vantaggio in tutte le sedi e a tutti i livelli. Ma se è per questo anche un clima che permettesse la giusta irrigazione delle colture, i giusti giorni di sole per le vacanze e il resto sarebbe migliore di quello che di fatto abbiamo. Il discorso su “ciò che sarebbe bello” non conduce da nessuna parte.
Il sostantivo corruzione deriva dal verbo corrompere, che ha vari significati: il primo, secondo il vocabolario della Treccani, si riferisce alla decomposizione e al disfacimento, il secondo al guastarsi e al degenerare di qualcosa, il terzo, non più in uso, utilizzava il termine come sinonimo di contagio (come nel caso per esempio del vaiolo) e il quarto, infine, si riferisce all’opera di qualcuno che induce qualcun altro a fare del male.
L’onestà, come è difficile averla nella società, è difficile averla negli amministratori della Cosa pubblica. Per la semplice ragione che la politica è fatta da quelle stesse persone che costituiscono la società. Né si vede perché i politici dovrebbero essere più onesti degli altri, quando proprio loro esercitano un’attività che, a sentire Machiavelli, è essenzialmente aliena dalla morale.
Pretendere più onestà da loro sarebbe come pretendere la massima igiene dagli spazzini o la massima fantasia dai geologi. Chi parla di “debellare una volta per tutte la corruzione” prende in giro il prossimo, se è in malafede, e se è in buona fede è un pericolo per il Paese. Uno sciocco può fare più danni di un delinquente. La corruzione non si debella, come non si debella il male cui essa inerisce. Tutto ciò che si può fare è limitarla: e non con le maledizioni, gli insulti e le minacce, ma con le proposte concrete.
Nel mondo dei cittadini normali, dopo che gli invitati se ne sono andati, nessuno conta le posate d’argento. È lo stesso fenomeno – che tanto mi stupiva quando sono arrivato la prima volta in nord America, dove il lattaio lasciava il latte dietro la porta del cliente, e la pila dei giornali era a disposizione dei clienti, i quali poi pagavano la loro copia mettendo gli spiccioli in una cassetta. Per quanto riguarda la corruzione in materia di denaro pubblico, in cui si hanno contemporaneamente grandi somme e scarsa sorveglianza, contro di essa si lotta soprattutto diminuendo le occasioni di malaffare. Si è pensato così di privatizzare alcuni servizi, in modo da contrapporre al desiderio di rubare quello di non essere derubati.
Un Municipio, luogo rappresentativo di una collettività, è infatti un’astrazione e chi dovrebbe difenderlo non lo difende come difenderebbe i suoi propri soldi. Il senso del dovere sembrerebbe essere una molla troppo debole per questa funzione. Ecco perché a volte il controllore si associa col ladro: perché ci guadagna pure lui.
Il modo migliore di lottare contro il perpetrarsi della corruzione e del malaffare nelle istituzioni pubbliche – anche se richiederà più tempo – sembrerebbe essere quello di cambiare a poco a poco la società, partendo dal non permettere, a quelli che in passato hanno contribuito allo sfacelo del Meridione, di rimettere le mani ancora una volta sulla cosa pubblica. I meridionali, quando sono in vena di autoflagellazioni – e avviene spesso – dicono che loro sono un pugno di disonesti, mentre gli olandesi, mentre i danesi, mentre gli svedesi… Si sbagliano.
Se in quei Paesi c’è maggiore correttezza è segno che c’è (stata) una severità tanto maggiore da creare delle buone abitudini. Ma le politiche anti-corruzione possono nascere anche dal basso. Già esiste, infatti, un sapere pratico costruito dai soggetti che a vario titolo si occupano quotidianamente di questi temi nella loro esperienza amministrativa, per ragioni di ricerca o di impegno civile. Questi personaggi hanno col tempo elaborato una serie di iniziative, provvedimenti e meccanismi utili a recepire segnali del rischio di corruzione e infiltrazioni criminali. È un quadro ancora frammentario, in via di evoluzione. La classe politica appare oggi sempre più delegittimata nello svolgere il loro compito teso al bene della collettività, anche per la sensazione diffusa di una corruzione dilagante, e si condanna così a un’inerzia funzionale agli interessi degli stessi corrotti. Per uscire da questa impasse occorre forse cambiare paradigma, distaccarsi da quei fantasmi del passato che hanno in mente di riprendersi la gestione amministrativa attraverso le elezioni che probabilmente si svolgeranno prima dell’estate. Diceva Tacito che più corrotto è lo Stato maggiore è il numero delle leggi e questo potrà anche essere vero ma un’altra verità è che la colpa della corruzione non risiede nella legge ma nei corrotti, intesi come coloro che corrompono (e quindi corrotti nel senso di “guastati” moralmente) e come coloro che vengono corrotti (cioè, riprendendo sempre le definizioni del vocabolario, indotti a “fare del male”). Tra corrotti e corruttori si stabilisce un rapporto asimmetrico, sì, ma complice: chi corrompe la volta prima potrà essere corrotto quella dopo, chi deve un favore potrà restituirlo, chi è stato pagato pagherà la prossima volta. Il corrotto è comunque quello che permette, eleggendolo, il corruttore. Siamo così abituati, da una trentina d’anni a questa parte, a considerare quella della corruzione come una dinamica normale che anche se ogni tanto i giornali e la magistratura riportano alla nostra attenzione l’esistenza, da qualche parte, di un codice morale e del diritto che ci dice che la corruzione va punita e non dovrebbe regolare le nostre vite, tuttavia non ci crediamo: “è tutto uguale, non cambia mai niente” è un modo di dire tipico degli Amanteani. Questo modo di dire e di pensare si traduce però anche in un modo di “non-fare”, in un’immobilità complice che sostiene questo sistema di malaffare come ben sa chi ne approfitta e che spesso è il primo a dire che è “tutto un magna-magna”. Le possibili ricette di una politica anti-corruzione presentano un minimo comune denominatore: la presenza di una formazione politica disposta a investire in questa battaglia risorse di credibilità e di consenso lungo un arco di tempo sufficientemente esteso, auto-vincolandosi attraverso un impegno credibile agli occhi di cittadini.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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