SI ‘NA SECCIA

Osservando attentamente una vignetta del Grillo parlante, ho notato una forte somiglianza fra il Konducator e il personaggio di un’ opera “La patente” di Luigi Pirandello.
Torna alla mia stanca e nomade mente una straordinaria interpretazione di Totò nelle vesti di Rosario Chiàrchiaro, modesto impiegato del monte dei pegni, licenziato perché sospettato di essere uno iettatore. L’uomo ha poi sporto denuncia presso la magistratura contro due giovani, che al suo passaggio avrebbero fatto il classico gesto di superstizione popolare delle “corna” per allontanare il malaugurio e chiamando il malcapitato Chiarchiaro “Si ‘na seccia”.
In tutto il territorio che fu il Regno delle due Sicilie, Seccia(o Siccia) è un termine che indica due cose: un mollusco e la sfortuna. Deriva, come l’italiano seppia, dal latino sepia, con raddoppio della seconda consonante che in italiano è rimasta p e in napoletano si è trasformata in c, mentre in francese, lingua a noi vicina, la seppia è la seiche. Perché si dice “Porta, nun porta, ecc. seccia”? Perché la seppia, di fronte al nemico, invece di fuggire butta tutto il nero contenuto nella sua sacca, disorientandolo.
I meridionali, come i nemici della seppia, considerano il nero il colore della sfortuna (es. è ‘nu tiempo niro), e lo attribuiscono ai pessimisti della peggiore specie, uno che vede tutto nero… Ma gli spaghetti (o linguine) al nero di seppia (piatto importato nella Napoli borbonica dalla Sicilia) hanno il profumo e il sapore del mare mediterraneo.
Pulire la seppia: incidere la pancia, estrarre con due dita l’osso, eliminare le interiora. Individuare il sacchetto del nero e sfilarlo. Eliminare la bocca incidendola alla base e premendo per farla fuoriuscire. Incidere gli occhi con un coltello ed eliminarli. Procedere a spellare la seppia sotto l’acqua corrente tirando la pelle con le dita ed eliminare le parti cartilaginose. Tagliare la seppia in piccoli pezzi. In una pentola rosolare nell’olio l’aglio tagliato a fettine poi versare i pezzetti di seppia e sfumare con il vino bianco. Girare con un mestolo ed aggiungere la passata di pomodoro e poco sale. In una ciotola con la punta di un coltello incidere il sacchetto del nero e con le dita (mettere i guanti di gomma) far fuoriuscire il suo interno che si presenterà sodo e gelatinoso.
Tornando a Pirandello e al suo (nostro) Chiarchiaro. Il giudice D’Andrea, chiamato in causa, si trova allora di fronte ad un caso paradossale, dato che, in quanto esponente della legge e della razionalità, non può certo credere all’esistenza della sfortuna né può tutelare in alcun modo gli interessi di Chiarchiaro che, a causa delle malelingue del paese, oltre ad aver perso il posto di lavoro, non riesce a far sposare le figlie ed è costretto a tenere segregata in casa l’intera famiglia.
Secondo l’immaginario comune, lo iettatore è palese al primo sguardo: solitario, pallido e ricurvo, con gli occhi leggermente sporgenti celati dietro occhiali rigorosamente neri, abiti scuri, capace di trasferire il suo influsso negativo già dal primo contatto con la vittima. Ma i meridionali, popolo che ha nel sangue l’istinto di sopravvivenza e l’astuzia, ne hanno brevettati di “antidoti” contro l’inevitabile anatema, dai più ai meno fantasiosi, che potremmo suddividere in due categorie, “riti” ed “amuleti”, veri e propri strumenti anti seccia.
In primis, la famosa combo prezzemolo-finocchio, il pizzico di sale lanciato dietro la spalla (rigorosamente la sinistra poiché in corrispondenza del cuore), il tocco del ferro al passaggio del portatore di sventura, od ancora le abbuffate a base di pesce, i cui resti e viscere erano un tempo cosparsi sull’uscio della porta per allontanare lo spirito maligno. 
Alla seconda categoria appartengono gli arnesi tipici contro la seccia: ‘o cuorno depositato in tasca da strofinare all’occorrenza, ‘o scartellato (un tempo costituiva enorme fortuna sfiorare con la mano la gobba), ‘a cianfa ‘e cavallo ed il numero 13, diversamente dalla cultura anglo-americana in cui assume la stessa valenza del numero 17 per noi. Insomma, che si creda o meno alla capacità di particolari individui di poter emanare energie negative, noi meridionali (e non solo noi), ci affidiamo alla filosofia de “Non è vero ma ci credo”.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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