Spifferi di palazzo 31

AMATO METTE A NUDO I “LIMITI” DELLA MELONI

          Ci sta che Giorgia Meloni non abbia capito l’intervista di Giuliano Amato, forse troppo…”Sottile” per lei, tanta la differenza anni luce tra i due. L’uno affermatosi in anni di studi nelle cattedre universitarie, in migliaia di pubblicazioni, considerato spesso una delle possibili “riserve della Repubblica”, due volte Ministro, giudice e presidente della Corte Costituzionale. L’altra, con un diploma di maturità linguistica,  formatasi alla Garbatella nelle sezioni giovanili del MSI tra slogan tipo Dio, Patria e Famiglia, qualche nostalgico…balilla e l’esaltazione della violenza fisica tra gruppi antagonisti. E’ come pretendere che bambini delle Medie possano capire la Critica della ragion pura di Kant.

          E ci sta che “il signor Presidente della Repubblica” –  che ama indossare preferibilmente i pantaloni ed essere chiamata al maschile, benché donna – abbia reagito di pancia, com’è nel suo stile, invece che di testa.

          Più grave, piuttosto, che nessuno dei suoi Consiglieri (dimmi con chi vai e ti dirò chi sei) abbia capito, e le abbia “tradotto”, il “vero” senso dell’intervista del prof. Amato evitandole di scivolare sulla Corte Costituzionale e mostrando così, nella specifica materia, una assoluta ignoranza istituzionale.

          E’ vero che quest’anno la Corte dovrà essere integrata da quattro giudici di nomina parlamentare per la cui elezione occorre però una maggioranza qualificata. Il che significa che Meloni non potrà eleggere chi vuole, necessitando inevitabilmente anche  del concerto delle Opposizioni. E questo, per esempio, nel suo intervento non è emerso.

Anche questa volta comunque, come nelle annuali conferenze stampa dei precedenti Premier, si è trattato di un “rito” del tutto inutile, privo di quella che giornalisticamente si chiama “ciccia”. Solo domande spesso poco “ficcanti”, alcune forse….telefonate, e per risposte solo bla bla, bla, bene articolati ma con quasi nessuna notizia.

                    E questo perché è mancata – non per colpa della Meloni – la seconda ed anche la terza domanda, il “sale” del giornalismo, la possibilità cioè di approfondire la risposta dell’intervistato libero, in assenza della possibilità di replicare,  di dire la “qualunque”.

Come ovviare? Con coraggio. Riducendo a 20/25 domande le domande dei giornalisti e tagliando il numero delle testate. Sempre i soliti cinque, sei giornali di tiratura nazionale, un solo Tg rai, uno Mediaset, La7 e Sky.  E poi un sorteggio per gli altri. Chi resta fuori avrà la possibilità di rifarsi l’anno successivo.

Solo così l’intervista diventa appetibile, con domande e possibilità di ulteriori approfondimenti. Basti ricordare l’interesse degli ascoltatori per certe tribune politiche in bianco e nero dei primi anni Rai.

Con Giorgia Meloni per esempio, ma anche con i predecessori, alcune affermazioni palesemente non vere sarebbero state smascherate.

Diversamente, Ordine dei Giornalisti e Stampa parlamentare continueranno ad essere complici di un rituale che riduce i giornalisti ad essere semplici comparse.

PdA

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