IL CANTASTORIE STONATO

Beaumont sur Mer – Alcuni uomini, in vari campi del sapere, hanno scritto e continuano a farlo, dicendo che l’uomo è sempre stato capace di conformarsi a qualsiasi tipo di potere, perfino alla dittatura più estrema, chinando il capo in cambio di miseri contentini: cibo, giochi, e il consumismo in generale. Forse mai come oggi si era raggiunto un livello di schiavitù mentale di così vaste proporzioni, un controllo di massa attuato in maniera così effimera e allo stesso tempo arguta, da impedire all’individuo di essere libero di pensare.

Senza essere indiscreto mi piacerebbe scoprire  se questa forma di schiavitù sia dovuta esclusivamente alla bravura del Potere di lobotomizzare, attraverso distrazioni di massa al punto tale da impedire alle persone qualsiasi atto di ribellione, o all’incapacità di molti individui che, per mancanza dei mezzi necessari, non comprendono il reale funzionamento del sistema socio-economico di cui fanno parte, oppure si tratta della “paura della libertà” come la definiva Erich Fromm, oppure ancora se sia semplicemente indifferenza ed alienazione a tutto ciò che accade intorno all’uomo.

Probabilmente la risposta sarà data da tutte queste cose messe insieme , come un veleno che scorre nelle vene della maggior parte delle persone che le persuade ad accontentarsi di ciò che hanno, pensando che magari potrebbe andar ancora peggio di così e che tutto sommato non stanno poi così male. Questo veleno ha solo un antidoto: la forza analitica, e non solo, delle persone che può condurle verso la conoscenza di sé stessi e del sistema in cui sono immerse, con il conseguente desiderio di aspirare ad un mondo migliore di quello nel quale vivono.

Forse, mettendosi in gioco continuamente e rischiare di perdere tutto, si potrebbe percorrere la strada verso una autentica libertà; mentre  altri continuerebbero a chinare la testa, uniformandosi  alle regole del sistema, possibilmente senza lamentarsi troppo.

Questi dovranno fare un piccolo sforzo nel far finta di non capire che l’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione delle persone dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dal potere economico e dal suo braccio operativo, le amministrazioni politiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti.

La strategia della distrazione ha anche il compito di impedire alle persone d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, dell’economia, della psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. Deviare l’attenzione delle persone dai veri problemi sociali, imprigionandole con temi da svolgere senza vera importanza. Impegnarle senza lasciar loro il tempo per pensare, mentre tornano dal lavoro verso la propria casa o verso il bar più vicino.

L’interesse del potere costituito è che l’individuo si uniformi agli altri, abbia gli stessi gusti e le stesse aspirazioni degli altri e in questo modo diventerà facile ingabbiarlo nel vortice della schiavitù: Lavorare, guadagnare quel tanto per spenderli e consumare. Perseguendo questo stile di vita imposto , si arriva a fine giornata senza il tempo e le risorse necessarie per “pensare”. L’obiettivo dell’oligarchia è proprio questo: privare le persone del tempo per pensare.

 Il metodo che viene utilizzato è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte della maggioranza delle persone, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi (l’Italia è maestra in questo) costringendo la collettività  a richiedere leggi più restrittive sulla sicurezza e leggi a sfavore della libertà e addirittura costringendolo ad atti di razzismo.

 O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario il regredire dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici tanto cari alla liberal-democrazia in tempo di vacche grasse. Tutto questo sta portando l’umanità verso l’Agorafobia. Un termine greco composto dall’agorà che significa piazza e phòbos che significa appunto paura.

Quindi, presa alla lettera la definizione sembra essere azzeccata: l’agorafobia è la paura di essere o di divenire liberi. Certamente la definizione dell’agorafobia come paura della libertà rimane molto generica e non priva di contraddizioni: ma libertà da cosa? Se si considera il fenomeno con più attenzione, la condizione di angoscia e di panico agorafobico si realizza non solo in senso generico, cioè avvicinandosi a spazi e luoghi aperti, ma anche in senso specifico, allontanandosi quindi da quei luoghi o quelle persone che integrano l’identità del soggetto.

Infatti si può vivere una sensazione agorafobica anche da soli a casa, nel momento in cui si percepisce la propria radicale solitudine e l’assenza di consueti rumori di riferimento. Un esempio di questo è lo sviluppo orizzontale delle città, come si può osservare nelle città dell’Ovest canadese. Questo tipo di esperienza indica che l’oggetto dell’angoscia non è la libertà intesa in senso generico. L’oggetto dell’angoscia agorafobica è la libertà intesa come isolamento dal proprio contesto umano di riferimento.

In realtà non si teme quello che c’è fuori di sé, ma di perdere il controllo della situazione e di se stessi, di non riconoscersi più se si cambia rotta. La paura esaspera i propri stati d’animo e in qualche modo è lì ad indicare che è arrivato il momento di uscire e di assaporare la vita con autenticità e consapevolezza. Ma cosa significa essere consapevoli? Significa soprattutto esserci, essere presenti, essere attenti. Essere.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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