NOMEN NESCIO

Beaumont sur Mer- Il regolamento del gioco calcio non prevede figli di secondo letto o figli di mignotta. Eppure, l’Amantea 1927 onorata squadra di calcio, che milita nel girone A della Promozione in Calabria, è stata presa a calci dalle Istituzioni e anche dalla Lega Calcio calabrese che la ha anche sbeffeggiata come una vecchia baldracca.

 Prima da calciatore e poi da tifoso ho calcato molti campi di calcio qualche incontro con le spalle protette e con nelle narici inalate dalla salsedine del Mare di Ulisse dato che sulle sue sponde si adagia da millenni la città di Amantea!

Gli Amanteani, che non sono figli…di un Dio minore, da oltre cent’anni seguono la loro squadra del cuore.

Prendete due gruppi di tifosi, di Napoli  e Milan, che abbiano tifato la propria squadra per una media di 15 anni avendola vista giocare almeno 25 volte. Ficcateli dentro uno scanner per la risonanza magnetica cerebrale e mostrate loro un video con le azioni salienti delle partite tra azzurri e rossoneri. Chissà cosa deve esser passato nella testa di un’equipe di una famosa università, forse la noia, i fondi a pioggia o una bomba d’acqua – quella vera – che impediva alle rispettive squadre di uscire all’aria aperta.

Fatto sta che questo esperimento sociale c’è stato, con l’obiettivo di capire quali aree del cervello, e come, fossero interessate nel processo del tifo. Roba cervellotica, da scienziati che non vanno neppure al bagno senza che la Scienza abbia spiegato loro perché è necessario farlo.

Comunque, dallo studio è venuta fuori una cosa interessante: mentre le regioni cerebrali deputate alla visione si comportavano nello stesso modo (i due gruppi vedevano le stesse azioni), le aree riservate alle funzioni cognitive reagivano in maniera assai diversa.

Questo mi ha portato a incontrare un tifoso ultrà dell’Amantea 1927 calcio. La squadra milita nella Promozione girone A Calabrese. Dopo un buon caffè abbiamo iniziato a parlare del tifo. In particolare del suo essere un tifoso ultrà.

“Come sono diventato un ultrà? Da ragazzino mio padre mi portava allo stadio: entrare nell’arena, vedere i giocatori dal vivo, mi toglieva il fiato. Poi guardavo dalla curva il comportamento degli ultrà di allora e ne ero affascinato. Cantavano, davano spettacolo. Così, a 14 anni, chiesi a mio padre di andare in curva anch’io con i miei amici”. Esordisce così “Michele” al nostro incontro.

Quest’esperienza mi ha condotto allo “studio” del fenomeno e ho capito che c’è un’assoluta mancanza di confronto tra studiosi e protagonisti. I sociologi studiano il fenomeno, ma “in laboratorio”; gli ultrà scrivono libri e riempiono il Web. È folle la mentalità degli ultrà. Ma non è sensato studiarli senza incontrarli.  Al di là delle motivazioni, la fede sportiva per il proprio club è un dato di fatto inconfutabile che viene spesso sottovalutato. Tifare vuol dire essere parte di qualcosa più grande di sé: alla stregua della religione e sperando di non risultare blasfemo, la squadra del cuore rappresenta per tante persone la fuga dalla routine e dallo stress della vita. L’appartenenza ad un gruppo, fare il tifo aiuta a dare senso alla vita perché il fan trova nuovi significati nella partecipazione alla partita e alle vicende della propria squadra.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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