GLI EX ALUNNI

Festa di chiusura dell’anno scolastico.

Invitato dal Preside, mio ex professore di matematica, mi trovo coinvolto in questa festosa celebrazione di fine anno che fa impazzire di gioia i ragazzi perché finalmente possono utilizzare la scuola non come luogo di perenni fatiche e dolori, ma come luogo di grande divertimento.

Questa volta l’emozione è tutta mia. Riuscirò a partecipare con disinvoltura a questi festeggiamenti anche se sarò sicuramente ritenuto un corpo estraneo da loro in quanto venato da leggere strisce bianche sui capelli? Certo che no!

Appena entro nell’atrio della scuola vengo letteralmente trafitto da una miriade di ricordi: i compagni di classe, il Preside, il vice Preside, i professori, dalla cravatta che dovevamo obbligatoriamente indossare per avere l’accesso alle classi. (Erano altri tempi!)

Li rivedo tutti come allora. Il Preside come entità astratta, il vice Preside come entità concreta sempre pronto come un cerbero a vietare l’accesso alle aule a coloro che tentavano di entrare senza cravatta ( io molto spesso al suo posto mettevo la martingala dell’impermeabile); i professori, nostri acerrimi nemici: i compagni, dei quali rammento ancora i propri cognomi, sempre pronti ad esilaranti battute.

Inizio a salire quelle scale, cinque rampe, che per noi era come se conducessero  al Golgota,

Giunto al piano, mi accoglie lo stesso bidello di trenta anni fa che riconobbi subito perché somigliava a Skoglund, un giocatore di calcio dell’epoca. Mi  sembrò che anche lui mi riconoscesse perché con una semplice occhiata mi indicò di salire al piano di sopra: la Sala della Presidenza! (Da noi qualificata come sala delle torture, dove ci chiamavano solo per prendere rimproveri e sospensioni!).

Mi viene voglia di fare dietro front per fuggire da questa sequela di ricordi che mi conducono ai tempi del mio gravoso studio.

Ma ormai è tardi. Mi vede il mio ex professore e mi dice “ Ciao carissimo,  come va?” “Bene “ rispondo “ ma non credo che ti ricordi di me.”

“Invece sì. Tu sei Vittorio G.” Resto allibito. Ma come fa a ricordare i nomi dei suoi discenti per così tanto tempo e tanti anni? Mah….! Poi mi presenta agli astanti dicendo “Questo è Vittorio G. mio allievo poco studioso. Ma quanta strada ha fatto!”. “Certo” mi schermisco “In trenta anni se ne fa di strada!”

Mi unisco quindi a tutti i professori e ci avviamo nel cortile dove erano in attesa tutti i ragazzi che non vedevano l’ora di iniziare i festeggiamenti.

Il Preside chiede silenzio e dopo un breve saluto  illustra il mio curriculum vitae qualificndomi  ospite d’onore e  mi invita sulla pedana per rivolgere un saluto ai ragazzi.

Vengo preso dal panico come quando dovevo affrontare le interrogazioni di matematica e cerco di declinare l’invito ma i ragazzi sono spietati. Mi trascinano di forza sul palco.

Allora, ob torto collo, inizio il mio intervento. Dopo uno scrosciante applauso. Dico ”Mi sento un Duran Duran”. E la platea ammutolisce immediatamente. “Il vostro Preside mi ha giocato un brutto tiro, come quelli  che ci giocava ai nostri tempi e che voi, probabilmente, non conoscete: interrogazioni senza preavviso, compiti in classe a trabocchetto e così via. Pensate che una volta venne a giocare a pallone con noi . Al rientro in classe ci interrogò tutti e il voto più alto che diede fu tre. Ora cosa dirvi di questo ennesimo trabocchetto? Penso che il Preside abbia voluto dimostrare che si  può fare un buon corso di vita anche essendo l’ultimo della classe, come ero io. E mi sembra un ottimo insegnamento per voi tutti Vi auguro di essere fortunati come me e che tra trenta anni possiate ritrovarvi in questa scuola a salutare i vostri professori.”

Uno scrosciante applauso, apprezzato soprattutto per la brevità del discorso, travolge le mie parole.

Scendo dal palco e i ragazzi si scatenano in balli sfrenati, mentre una bella signora mi avvicina e mi dice: “Sei stato fantastico” “Non scherzare” rispondo- Poi la guardo meglio e dico “Ma tu sei Lucilla la  Scintilla!” “Bravo” mi risponde. Inconcepibile, ma sono proprio io!”.

Una miriade di ricordi mi travolgono la mente. La chiamavamo Scintilla perché ogni ragazzo sul quale puntava gli occhi si accendeva d’amore per lei. Era bellissima e studiosissima, ma anche furbissima. Mi ricordo che quando facevamo i compiti in classe lei metteva gli appunti nella parte alta delle calze di seta e al momento opportuno tirava su la gonna per copiare. Io ero nel banco vicino al suo: potete quindi immaginarvi il livello di concentrazione con il quale affrontavo gli elaborati

“Come mai sei qui? Qualche figlio frequenta questa scuola? “No” mi rispose. “Niente figli e niente marito. L’ho cacciato di casa dopo due anni. Un vero coglione” ”Mi dispiace” risposi senza alcuna enfasi pensando che aveva pienamente ragione.

 Partecipammo alla festa facendo anche qualche ballo come ai nostri tempi. Poi mi chiese se la potevo accompagnare a casa perché era senza macchina. Le risposi che ne ero felice

Durante il tragitto mi disse che aveva di me un ricordo sbiadito e per nulla accattivante.  Mi rammentava alto, magro e con un naso come quello di Dante Alighieri, Inoltre ero del tutto inutile perché non riuscivo mai a darle aiuto nei molteplici compiti in classe. “ora basta con i complimenti” risposi. “Dimmi come mi vedi adesso.” “Ora sei del tutto diverso. Sia nel fisico che nella mente. Ho appreso dal tuo curriculum che hai fatto tanti progressi sia negli studi che in campo lavorativo. Ma quello che mi ha conquistata questa sera è quel discorsetto che hai fatto ai ragazzi i quali – ho notato – ne sono rimasti affascinati. In buna sostanza hai fatto capire loro l’essenza della vita e che – come diceva Napoleone ne ai suoi soldati, che tutti avevano nella loro giberna il bastone da Maresciallo- Bastava solo averne contezza.”.

A questo punto fui io che riconobbi la sua arguzia e la sua sagacia e glielo dissi. Mi allungò al volo un  bacio sulla guancia rischiando di farmi  sbattere su contro un muro.

Giunti sotto casa sua mi chiese se volevo salire a prendere un tè perché voleva farsi perdonare tutte le delusioni che avevo patito per lei durante gli anni scolastici. Potevo dire di no? Certo. Ma io dissi “Siiiiiì!”

Entrammo in una casa molto carina ma si notava subito che era abitata da una sola persona.

Mi fece accomodare sul divano, mise una musica carezzevole e mi disse che andava in cucina a preparare il tè.

Dopo dieci minuti si affacciò alla porta e mi apparve come un sogno delle notti di oriente, che noi, ragazzi di un tempo favoleggiavamo da sempre.

Rimasi letteralmente abbagliato da Lucilla mentre venivo colpito da una serie infinita di scintille, ancor meglio di quelle di un tempo.

Infatti si presentò come una visione celestiale: diadema sulla fronte, capelli lunghi e sciolti, vestito lungo fino alle caviglie, piedi scalzi che avanzavano verso di me accennando a piccoli passi il ritmo della musica hawaiana che aveva messo prima.

Rimasi letteralmente sconvolto da questa visione. Potrà capirmi soltanto chi si è trovato in simili frangenti.

Vi sembrerà strano ma la cosa che mi erotizzava di più erano i suoi piedi nudi. Infatti ricevettero i miei primi baci e mentre glieli alzavo,    potei vedere  tutto il mondo di felicità che prometteva il suo grembo, per cui proseguii verso l’alto fino all’interno coscia  

Di seguito, baciai tutto il resto.

Durante le effusioni continuavo a dirle che era stata veramente crudele a farmi passare tutti questi anni senza di lei, mentre mi prometteva che avevamo molto tempo per recuperare. “Certo” le dissi “ ma tu non sei la Scintilla di prima!” Si rabbuiò un attimo ma io aggiunsi “ Sei molto meglio!!!”

Mentre mi accompagnava alla porta mi disse “Scusami per il tè ma era finito!”

“Un bel guaio” risposi. “Lo porterò io tutte le sere”.

Così feci ma il tè non lo bevemmo mai.

VIT

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