MELANCONIA  DI UN MERIDIONALE.

Beaumont sur Mer – Non c’è singolo personaggio la cui vita non sia rovinata dall’avere pochi soldi o dall’averli troppo tardi nella vita, o dalle pressioni di convenzioni sociali che sono ovviamente assurde ma non possono essere messe in discussione.

Un’attempata zitella ricompensa con bevute una vita inutile; un bel ragazzo sposa una donna abbastanza vecchia da poter essere sua madre; un modesto maestro rimanda il matrimonio con la donna amata fino a quando entrambi sono di mezza età e inariditi; un uomo di buon cuore è infastidito a morte dalla moglie; una donna straordinariamente intelligente e vivace sciupa la possibilità di una relazione amorosa avventurosa con un uomo “non affidabile” e ricade nella futilità del quotidiano; in ciascun caso la ragione ultima del disastro sta nell’obbedire al codice sociale accettato o nel non avere abbastanza risorse per aggirarlo. Alcune delle sopracitate situazioni sono abbastanza tipiche del Mezzogiorno d’Italia.

A differenza della maggior parte dei viaggiatori, i quali, nei loro resoconti del viaggio nel meridione, aggiungono spesso giudizi negativi sugli abitanti, io non posso esentarmi dal mostrare invece costantemente simpatia per le genti del Sud Italia, soprattutto per i calabresi di cui conosco e ammiro la dignità e la gentilezza. Ciononostante, non posso dimenticare, sull’Italia meridionale post-unitaria, il focatico, l’imposta diretta personale riscossa per fuoco o famiglia, in genere in misura uguale qualunque fosse il numero dei componenti e il loro reddito.

Qualche anno fa lo psichiatra Giovanni Jervis scriveva: “ Fra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta, Wilhelm Reich pose alla psicanalisi una sfida: la ‘miseria materiale’ ma anche psicologica della classe operaia, la sua parziale sottomissione alle menzogne del potere, non rinviavano forse alla necessità di fondare il problema della nevrosi in modo diverso da quello che Freud era andato escogitando con i suoi pazienti altoborghesi? Non si doveva forse pensare che la oppressione sociale diretta, l’ubbidienza a una morale sessuo-repressiva, il rapporto di quest’ultima con la sottomissione all’autorità, erano le cause vere di disturbi e disagi nevrotici ancora più vasti di quelli analizzati da Freud?”

L’evidente decadenza del Sud in confronto agli splendori del passato; le vessazioni del nuovo Stato con i dazi: il contribuente tenuto a pagare l’imposta personale, sia che fosse capofamiglia sia che vivesse solo anche senza essere provvisto di beni sia che vivesse con altri ma fosse provvisto di redditi propri. Anche se l’abitazione comprendeva più gruppi familiari. Ritornando a vivere in parte nel Sud, non ho potuto non notare la contorta “dipendenza” tipica degli sconfitti che viene ribadita quasi quotidianamente in qualsiasi circostanza, anche nel cercare con diritto di ottenere un qualsiasi banale certificato.

Anche in questo viene sottolineato il “favore” che ti viene fatto. Osservo come su gran parte della collettività vi sia una spada di Damocle! Secondo il racconto di Cicerone, Damocle era un membro della corte di Dionisio II, detto il “Vecchio”, tiranno di Siracusa. Damocle, in presenza del tiranno, durante un banchetto iniziò a toccare con mano i piaceri dell’essere un uomo potente. Solamente al termine della cena egli notò, sopra la sua testa, la presenza di una spada sostenuta da un esile crine di cavallo. Dionisio gli propose allora di prendere il suo posto per un giorno, così da poter assaporare tale fortuna, e Damocle accettò.

Dionisio fece sospendere sul suo capo la spada perché Damocle capisse che la sua posizione di tiranno lo esponeva continuamente a grandi minacce per la sua incolumità. Immediatamente l’ingenuo Damocle perse tutto il gusto per i cibi raffinati che stava assumendo, nonché per i bellissimi ragazzi che gli stavano intorno e chiese al tiranno di poter terminare lo scambio, non volendo più essere “così fortunato”.

Forse esposto per anni in eccesso ad altre culture, orgoglioso della storia della propria regione, mi son sentito intrappolato in un freddo e fumoso paese cattolico dove è impossibile stare a proprio agio senza una spessa imbottitura di ipocrisia tra l’uomo ed il mondo che lo circonda.

Dietro il mio tono rabbioso e dolente ho sempre avuto la percezione che gli orrori della vita nella Calabria post unitaria e Savoiarda fossero in gran misura non necessari. Il sudiciume, la stupidità, l’abiezione, la povertà sessuale, la dissolutezza nascosta, la volgarità, le cattive maniere, l’atteggiamento di censura – queste cose sono superflue, poiché il moralismo di cui sono una reliquia non sostiene più la struttura della società. Gente che avrebbe potuto essere felice, senza perdere in capacità, scelse invece di essere triste, inventando tabu insensati con cui terrorizzare sé stessa.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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