LA VENDETTA

Si chiamava Germana. Io la chiamavo Tedesca.

Figlia di amici di famiglia, aveva 16 anni ed andava pazza per la pallavolo, oltre che di me. Aveva un fisico atletico, tutto ossa e muscoli, tanto da essere spigolosa, con calli sulle mani causati dai violenti colpi che dava al pallone e di conseguenza priva di ogni  femminilità che potesse attirare la mia attenzione.

Sempre nervosa e protesa esclusivamente verso il suo sport aveva fisico asciutto,  capelli chiari cortissimi, assenza di trucco, unghie a zero, nessuna rotondità  ed una essenzialità esasperata necessaria per ottenere il massimo risultato nella pallavolo.

Sempre nervosa con tutti – dicevo – si addolciva soltanto quando stava con me. Mi faceva gli occhi dolci, mi blandiva, mostrava il massimo delle sue grazie ( veramente poche ) per apparire bella e seducente ai miei occhi.

Ma io, 19 anni, avevo Roberta – tra l’altro gelosissima – sempre curata e truccata. Mani di fata, occhi verdi, lato B nervoso, fisico asciutto ma con tutte le rotondità necessarie ad una ragazza di 18 anni.  Capelli lunghi neri corvini, labbra sensuali, viso da diva del cinema. Non so cosa altro aggiungere ma era proprio una bella ragazza che dava felicità al solo vederla.

Il confronto tra le due sarebbe stato impietoso per cui non ebbi mai nessun dubbio nella scelta e qualche volta trattai bruscamente Germana che aveva tentato con me qualche audace approccio.

Ma lei non demordeva. Mi invitava a vederla giocare e io il più delle volte l’accontentavo. Ogni volta che assistevo ad una sua partita si esaltava. Faceva dei punti formidabili e alzava il pugno verso di me aspettando i miei applausi, che riceveva puntualmente.

Una volta feci un errore imperdonabile: portai Roberta a vedere una sua partita e al primo sguardo che si scambiarono ambedue capirono tutto. Partirono quindi   scintille d’odio che ognuna inviava all’altra.

Germana giocò malissimo perché aveva lo sguardo fisso su Roberta e notava quindi le differenze che c’erano tra di loro.

Roberta era avvelenata di gelosia perché aveva letto l’amore negli sguardi che Germana mi mandava.

Di tal che la giocatrice fu sostituita e  riparò subito negli spogliatoi.  Roberta, dal canto suo, mi trascinò fuori dicendomi che “ Se volevo andare con quella segaligna – tra l’altro, secondo me, l’hai già fatto – basta dirmelo perché ho una lunga lista di ragazzi che mi fanno la corte e attendono solo un semplice cenno da parte mia.”

Mi impegnai al massimo per convincerla che Germana era solo una ragazzina che non mi aveva mai interessato e che era semplicemente assurdo pensare ad un mio coinvolgimento sentimentale con lei. Inoltre, come poteva ben vedere, nessuna qualità, né fisica né intellettuale, poteva scuotere il mio interesse per lei perché era del tutto insignificante.

Ma non mi credette assolutamente. Continuava a ripetermi che se volevo Germana potevo andare tranquillo perché non si sarebbe opposta minimamente. Ero libero.

Faticai moltissimo ma alla fine cedette alle mie suppliche e decise di continuare il rapporto facendomi presente che non mi avrebbe perdonato una seconda volta.

Ma ormai l’intesa si era incrinata. Erano continui litigi causati da eventi del tutto insignificanti che ai suoi occhi apparivano macroscopici.

Non mi aveva mai perdonato il presunto doppio gioco che riteneva avessi fatto con Germana per cui decisi di affrontare direttamente la questione e le dissi: “Carissima Roberta, è ora di finirla con questa storia di Germana del tutto inventata. Lei non mi ha mai interessato e mai mi interesserà. Ti sei creata una rivale del tutto inesistente che ci sta facendo del male e chissà quanto  ne sta godendo alle nostre spalle. Smettila con questa vicenda visionaria e ritorna in te stessa affrontando la realtà che è  bella e che ti aiuterà a superare le tue fisime”.  

“In questo pistolotto che mi hai fatto”, rispose, “ non mi hai neanche detto che mi ami e che non puoi fare a meno di me. Hai pensato solo a te stesso e al tuo smisurato egoismo. Però una cosa la condivido: è quando hai detto che è ora di finirla!”. Quindi mi voltò le spalle e se ne andò.

 Non la rividi più.

 Ma neanche la cercai.

Evitai per diverso tempo anche Germana,  causa della mia rottura con Roberta.

Ma un giorno – dopo circa  un paio di anni – la incontrai ma stentai a riconoscerla. Era sbocciata come una Eden Rose. Era  fantastica: capelli lunghi biondi, labbra carnose con un filo di rossetto appena accennato, seno turgido, gambe tornite, forme accattivanti, altezza adeguata, mani affusolate e ben curate, unghie lunghe con uno strato leggerissimo di smalto che mi fecero intuire che non giocava più a pallavolo. Sembrava che avesse incontrato la Fata Turchina che con la bacchetta magica l’aveva trasformata come aveva fatto con il burattino, modificando tutte le precedenti spigolosità in rotondità.

  Allora le chiesi: “Scusa ma tu sei Germana?”

“Certo che no” mi rispose, “Sono Tedesca. E tu chi sei?”.

 “Non prendermi in giro” le dissi, “Lo sai benissimo! Sei veramente uno splendore! Cosa ha determinato questa tua metamorfosi? Come hai fatto a diventare così bella?”.

 “Ma io sono sempre stata così. Sei tu che non te ne sei mai accorto!”. E di colpo mi voltò le spalle e sparì.

La cercai e le feci la corte per molto tempo e in tutti i modi ma lei non cedeva. Evidentemente la mia freddezza di un tempo l’aveva segnata negativamente nei miei confronti per cui provava gusto nella vendetta.

Ma non persi la speranza. Mentre bruciavo di desiderio, ero fiducioso nell’amore che aveva avuto per me in passato, e che quindi prima o poi avrebbe ceduto.

E così avvenne.

 Una sera bussò alla mia porta e mi chiese se poteva dormire con me. Non credevo alle mie orecchie! Come era possibile ciò dopo tanti rifiuti? Non mi soffermai un attimo a cercare la risposta e l’accolsi subito nel mio letto.

Furono due ore da sogno…..e tali rimasero!

Mi svegliai tutto sudato e con una gran voglia  di Germana… o di Tedesca che dir si voglia, rimasta  per sempre inappagata.

Vit

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