LA PREISTORIA NEL FUTURO

Erano ormai quarantotto lune marziane che io e la mia donna avevamo lasciato la  Terra ,ormai inabitabile, perché devastata dalla Grande Catastrofe per approdare, dopo lunghissimi giorni e terribili notti, nel mondo dei Micron della costellazione di Orione.

Questi avevano subito mal sopportato la nostra  superiorità fisica ed intellettuale, costruendo intorno alle nostre persone un alone di diffidenza che si era rapidamente diffuso in tutti i ceti sociali della popolazione. Eravamo gli stranieri, i paria, i negletti, gli invasori, i peccatori.

 Ma pian piano cominciammo a far breccia nel  cuore di qualcuno di loro .

Di tanto in tanto qualche sperduto viaggiatore capitava presso la nostra capanna e noi lo rifornivamo di acqua e cibo. A ciò seguiva il conversare spigliato ed arguto in lingua universale della mia donna che con le sue grazie e la sua allegrezza affascinava l’ospite. Come pure la mia predisposizione all’accoglienza la mia generosità, il mio comprendere i problemi del viandante, la mia innata amicizia, suscitavano nel pellegrino un evidente sentimento di ammirazione e di rispetto.

Poco alla volta ma con un processo inarrestabile, affascinammo dapprima gli strati più umili della popolazione, poi gli altri.

Fu in questo modo che iniziò quel processo di involontaria e malintesa operazione che fu ritenuta da alcuni come tentativo di conquista.

Evidentemente avevamo osato troppo. Una notte buia dell’epoca del Sagittario, giunsero le guardie ed iniziarono a distruggere la nostra capanna.

Presi la mia spada ed ingaggiai una lotta mortale contro gli invasori. La mia superiore prestanza fisica e l’odio che mi iniettava gli occhi di sangue furono le mie armi migliori. Le teste dei nemici saltavano come sassi lanciati sull’acqua del mare. Braccia e gambe troncate di netto formavano un lugubre mosaico di morte; toraci squarciati mostravano cuori ancora pulsanti che pompavano sangue sul  terreno.

La mia donna non era da meno: esperta nell’uso dell’arco, scagliava dardi contro i nemici, non fallendo un colpo.

Ma fu tutto inutile.

I nemici avanzavano come formiche incuranti della morte. E come formiche, la loro forza era nel numero: non finivano mai.

Dopo ore e ore di combattimenti, esausti, fummo sopraffatti.

Laceri e sanguinanti ci condussero nelle segrete dell’antro del Re Micr ed incatenati.

Marcimmo in quel luogo in attesa del processo in celle separate  per circa due lune senza acqua  e poco cibo marcio. Quindi fummo lavati, vestiti, nutriti a dovere e condotti al cospetto del Re il quale, alla nostra vista fu colpito da conati di vomito. Quindi si schermì il viso ordinando che fossimo tenuti nascosti alla sua vista per tutta la durata del processo. E così fu.

Un alto dignitario formulò l’accusa: attentato all’Impero e al Re attraverso l’uso delle subdole armi della generosità, dell’amore, della comprensione, della pietà e dell’altruismo. Turbamento dell’ordine pubblico mediante il falso principio della pari dignità tra tutti i cittadini. E – più grave tutti – destabilizzazione del massimo principio dell’Odio sul quale era basata l’intera filosofia del Regno.

Le ”infamanti” accuse furono provate minuziosamente da inconfutabili testimoni che affermarono di  averci visto curare  animali feriti,  strappare bambini dalle fauci di orsi e leoni,  aiutare cenciosi, ignoranti e mendicanti.

La difesa fu inesistente: non capimmo la portata delle accuse e non balbettammo che qualche “ ma….”. Non capimmo neanche perché non ci accusarono di aver ucciso qualche centinaia di soldati Micron.

Il verdetto fu rapido ed unanime: il supplizio del Picco delle Aquile.

 Alla sua lettura il popolo esultò.

La cerimonia di iniziazione cominciò subito: legati ad un palo al centro della piazza più grande del Regno, per quattro giorni e quattro notti sfilarono innanzi a noi tutti i Micron rivolgendoci gli improperi più diversi ed assurdi, ognuno dei quali marchiava il nostro animo. Da ultimo giunse il Re che, con gli occhi bendati, ci riversò una indicibile quantità di ingiurie che consacrarono il definitivo trionfo dell’Odio.

Quindi alla prima notte di luna piena, ci incatenarono al Picco delle Aquile con il corpo cosparso di un misterioso liquido maleodorante che avrebbe dovuto attirare gli uccelli per strapparci gli occhi e il cuore a colpi di becco e artigli.

Ma, fortunatamente, commisero un errore. Il fissaggio degli anelli nella roccia era stato fatto a misura di Micron, notevolmente meno forti di me, per cui lavorai per tutta la notte a scardinare i fissaggi. Liberai dapprima il braccio destro, giusto in tempo per evitare i primi attacchi dei volatili. Quindi la mano sinistra e successivamente le caviglie. Ormai l’agitazione delle aquile era al culmine e, attratte dall’acre mistura che avevamo addosso, ci attaccavano violentemente. Mi difesi usando come clave le catene che erano rimaste attaccate ai miei  polsi, ma non riuscii ad evitare una terribile beccata sulla spalla destra che mi fece cadere a terra. Allora compresi il da farsi: mi rotolai nel fango con tutto il corpo in modo da coprire l’odore che attirava le aquile. La cosa funzionò. Quindi coprii con il  corpo la mia donna e con grande fatica la liberai dalle catene.

Lasciammo  il Picco delle Aquile e il regno dei Micron, terra che assolutamente non si addiceva ai nostri animi, e riprendemmo il viaggio per finalmente uscire dalla preistoria ed approdare in un luogo più ospitale in grado di soddisfare il nostro desiderio di pace e amicizia, cose che ci hanno sempre negato.

Ma ancora erriamo.

Dall’epoca del Sagittario abbiamo trascorso, io e la mia donna, tredici vite.

Riusciremo mai ad approdare alla meta agognata? 

Vit

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