L’INGANNO

Beaumont sur Mer -La violenza sembrerebbe costituire la normalità del rapporto tra uomini, e rappresenta anche la chiave del progresso del sistema produttivo vigente.  

Quindi, in questo breve scritto non si vuole contestare la normalità della violenza ma la violenza del potere che rappresenta, essendo, la stessa, la forma irrazionale del perdurare di un valore di scambio imposto a rapporti sociali entro cui le condizioni dello stesso rapporto sono venute meno. 

Non solo i criminali comuni, ma anche le grandi multinazionali possono rendersi responsabili di reati “violenti”. Lo si è visto in questi ultimi anni con Amazon, Eternit, Ilva, Monsanto e Thyssen Krupp.

Con questa premessa in mente, la nozione di potere ci si presenta duplice: da un lato, v’è il potere di offendere, e, dall’altro, troviamo il potere di difendere. Questa ambivalenza è collocata nel codice genetico del potere stesso, ma ciò non elimina la possibilità di distinguere tra violenza e potere istituzionalizzato in configurazioni regolate dal diritto.

Il potere di offendere non è che un potere di recar danno in generale o, più in concreto, di recare offesa corporea, violando l’integrità fisica di altri esseri umani; tra questi due estremi, si colloca anche il potere di emarginare e di escludere, anch’esso offensivo. Questo aspetto del potere, che va dall’offesa corporea all’umiliazione dell’esclusione, culmina nella definizione della violenza: infatti, se portiamo alle estreme conseguenze le caratteristiche del potere offensivo, ci troviamo immediatamente proiettati nel regno della violenza. 

Dai Greci a Cicerone l’autorità, attribuzione delegata di legittimità allo Stato, differisce dal potere, che è invece il consenso della collettività alla forma statuale. Esso differisce poi dalla forza che è l’attributo non misurabile direttamente in una qualche azione coercitiva delle istituzioni, ma che in qualche modo presiede a tale azione; mentre la violenza, diversa dalla potenza, è sempre un elemento strumentale, anzi quasi sempre nella storia, divenuto fine in sé.

 Un ribelle incapace di accettare l’ordine imposto da Zeus e dai nuovi dei, che pretendono di piegare ogni cosa alla loro volontà, ignorando la infelice condizione dei mortali, spinse Prometeo, di origini divine, a contrapporsi al potere costituito. 

Nell’opera di Eschilo Prometeo viene presentato come il protagonista, che ripete la propria avversione per Zeus di fronte a numerosi personaggi, ma che appare portatore di un valore che non può non suscitare simpatia nello spettatore: la solidarietà verso gli uomini e la volontà di aiutarli a progredire facendo loro conoscere il fuoco.

Prometeo, dunque, si presenta come portatore di luce e di progresso, anche a costo di sfidare la volontà di Zeus: una figura ben diversa da quella che appare nella Teogonia di Esiodo, in cui il nostro protagonista è presentato come un briccone che sfida gli dei in una gara d’astuzia nella quale ad uscire perdente sarà proprio il genere umano. L’identificazione dello spettatore in Prometeo avviene in quanto, come l’uomo aspira ad un di più che non gli è concesso; la figura di Prometeo sembra plasmare gli uomini, gli dona il fuoco e l’intelligenza. Si ribella a Zeus, l’inganna, e per questo viene condannato a una terribile punizione.

 Questa figura d’immortale demiurgo, coraggioso, di eroe segregato in un sistema di valori superati, dove l’ambizione a un di più è considerata un atto di arroganza.

Riflettendo su Prometeo,  non è azzardato definire ribelle colui che combatte le forze superiori rappresentate dalle divinità, dal destino o dal potere dispotico economico-politico-sociale, che dominano l’essere umano reprimendone la libertà, la vitalità, pur sapendo che può fallire nel suo intento.

Senza i ribelli la società si cristallizzerebbe  nel conformismo, nel vittimismo, nell’appiattimento, nella rassegnazione, mortificando il pensiero critico nell’analizzare il quadro complessivo della situazione.

“Fino a quando tra noi ci saranno dei ribelli avremo ragione di auspicare che la nostra società possa essere salvata. Il ribelle è il portabandiera dei visionari che a poco a poco accrescono la levatura etica dell’uomo…” René Jules Dubos.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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