MARTA LA SUSAN

La chiamavamo così. Ma solo pochi sapevano perché.

Sicuramente  lei no, perché non sapeva che  la chiamavamo così.

Era la più brava della classe. Quinto ragioneria, quando avere  il titolo di ragioniere significava diventare un professionista ed aspirare ad un impiego di alto livello.

L’esame di diploma era difficilissimo e i professori favoleggiavano di eclatanti bocciature perché le commissioni di esame erano formate da severissimi membri esterni e da solo uno interno.  

A quei tempi l ‘esame di diploma di ragioniere consisteva in quattro scritti ( Italiano, matematica, lingua straniera e tecnica bancaria ) ed un orale su tutte le materie. Eravamo  terrorizzati.

Lei no.

Studiava con serenità, prendeva i suoi bei voti in tutte le materie e gli elogi da parte dei professori che  l’additavano come esempio da seguire per superare lo spauracchio di quell’esame che turbava i nostri sonni.

Noi potevamo solo invidiarla perché nello studio, per noi, era irraggiungibile.

Al contrario, era facilmente raggiungibile per le altre faccende. Si  invaghiva di noi maschi  a turni settimanali, e soddisfava tutti.

Una volta esauriti i maschi della nostra classe  passava alle altre sezioni, per cui i nostri turni si allungavano a dismisura e noi  protestavamo rivendicando il nostro diritto di prelazione. Ma lei se ne fregava altamente.

I nomi dei fortunati li annotava in una apposita rubrica, al fine di evitare salti o doppi turni. 

I prescelti, nel numero di tre al mese ( la quarta settimana – chissà perché – riposava),  non stavano nella pelle e, con gli ormoni a mille di noi diciottenni e la tirchieria delle altre ragazze, le davamo  il meglio di noi stessi – a volte accompagnato da un regalino – con la conseguenza che per quella settimana il nostro rendimento in aula era nullo.

I professori non sono mai riusciti a darsi una spiegazione esaustiva dei motivi dell’ andamento altalenante degli studenti, attribuendolo il più delle volte a motivi di salute.

Marta invece era una roccia: niente la scuoteva, niente la emozionava. Viveva quegli incontri nel modo più naturale possibile. Per lei era come bere un bicchiere d’acqua, magari con un po’ di zucchero, ma niente di più.

Le compagne di classe non hanno mai voluto credere alle voci  che favoleggiavano pettegolezzi sul suo conto. Ritenevano che fossero soltanto malelingue dettate dall’invidia per il suo brillante andamento scolastico.

Quando veniva interrogata facevamo tutti il tifo per lei. Un tifo sfacciato che i professori non riuscivano mai ad interpretare esattamente e si chiedevano sempre il perché di tanto entusiasmo.

Lei era la nostra mascotte ed eravamo, noi maschi, tutti al suo servizio. Qualsiasi cosa le occorresse facevamo a gara per accontentarla.

Ricordo che una volta, nella calca di fine lezioni, si stava disperando perché aveva perso un orecchino. Io e altri tre compagni ispezionammo tutti i piani della scuola ed alfine – dopo ore di ricerca – lo trovammo. Fu felicissima e ci ringraziò molto caldamente, ma solo a voce. La rubrica non consentiva deroghe.

A volte doveva affrontare scenate di gelosia da parte di qualcuno che si innamorava veramente di lei e che la voleva tutta per sé. Ma su questo – come su tutte le sue cose – era inflessibile e minacciava lo spasimante di cancellarlo dalla rubrica.

 Quale punizione maggiore? Così – anche se ob torto collo – si era costretti ad accettare i suoi diktat senza replicare.

Ma alla maggioranza silenziosa andava bene così. Si era in una posizione fantastica in quanto si avevano solo gioie e niente dolori. Nessun impegno vincolante, nessuna discussione, nessun litigio. Ricordava la “Susan dei marinai”, canzone di un noto cantante dell’epoca che “non fa problemi mai, un regalino e poi, il resto è tutta per noi”, dalla quale, probabilmente, derivava il suo secondo nome che le era stato imposto dalla comunità.

Ma un giorno, in prossimità dell’inizio degli esami, interruppe tutti i contatti con noi. Veniva in classe ma dava confidenza solo alle ragazze. Continuava ad essere brillante ma in modo gelido e scostante. Quando arrivava diceva “Ciao” e quando andava via lo stesso. Non c’era modo di scioglierla e di tirarle altro fuori di bocca.

Noi tutti eravamo costernati sia perché  ( come si direbbe oggi ) la pacchia era finita, sia perché la vedevamo molto angosciata da qualcosa di serio che non ci voleva confessare. Noi, nonostante tutto, continuavamo a volerle bene.

Finché cominciò a circolare qualche parola pronunciata a mezza bocca, in merito ad un presunto ritardo del ciclo della ragazza.

Vi posso assicurare che tutte le gioie che ci aveva dato nel corso degli ultimi due anni furono annullate dalla notizia. Entrammo tutti nel panico più nero, il sorriso sui nostri visi sparì. Ci sentivamo tutti responsabili della faccenda e perdemmo il sonno per infinite notti.

Io sognavo che mi bussavano alla porta per consegnarmi il prodotto dell’amore che avevo fatto con Marta. Veri incubi aggravati dal  pensiero che se  i miei genitori avessero   saputo della vicenda sarebbero stati guai – se possibile – ancor più seri.

Affrontammo l’esame in condizioni disperate. Molti maschi della nostra sezione furono bocciati, realizzandosi quello che ci avevano preconizzato i nostri professori. Molti furono rimandati con tre o quattro materie ( tra questi anche io ). Le ragazze invece ottennero splendidi risultati , come Marta, che prese tutti nove.

Passai un’estate terrificante di studio per affrontare gli esami di riparazione  perché la faccenda stravolgeva la mia mente e il mio cuore.

 Veniva a mancare clamorosamente la concentrazione necessaria per affrontare un esame così difficile, al punto che a volte dimenticavo anche le materie che dovevo riparare.

Questo fino a quando qualche giorno prima degli esami, si sparse la voce che Marta a novembre si sarebbe sposata!

Non credevamo alle nostre orecchie!

 Inizialmente tememmo che fosse la solita balla che mettono in giro i crudeli odiatori che godono a far soffrire la gente facendole prima vedere una via di scampo, per poi –al fine di soddisfare il proprio sadismo – gettarli di nuovo nel baratro.

Ma così non era.

 Una nostra compagna di classe, invitata alle nozze, ci fece vedere la partecipazione che aveva ricevuto, per cui non avemmo più dubbi e noi tutti potemmo fare un immenso sospiro di sollievo come se avessimo vinto ciascuno cinquecento milioni al Totocalcio!

Di tal che potemmo affrontare gli esami di riparazione con una serenità riacquistata dopo così tanto tempo,  che diede i suoi benevoli frutti.

Ma la cosa più eclatante di tutta la vicenda la notammo quando leggemmo il nome del promesso sposo. Non era Renzo ma il professore supplente di italiano che aveva sostituito per qualche mese il titolare!

 Fu così che  scoprimmo a chi  Susan dedicava  la settimana di riposo che si concedeva ogni mese!

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