IRMA LA DOLCE

La chiamavamo Irma la dolce, non in ossequio al famoso film, successivamente uscito, ma perché era veramente dolce.

Studiavamo giurisprudenza alla Sapienza e preparavamo gli esami insieme. Una volta a casa sua, una volta a casa mia.

Ci interrogavamo a vicenda e facevamo a gara per vedere chi faceva le domande più capziose. Vinceva sempre lei perché chiedeva spesso  argomenti che venivano brevemente trattati nelle note in calce alle pagine che io – regolarmente – tralasciavo.

Ma non mi dispiaceva perdere perché la penitenza era costituita da un bacio che chi perdeva doveva dare, chi vinceva lo riceveva.

Era dolce in tutte le cose che diceva o faceva. Il tono della voce era sempre contenuto e garbato ed avrebbe attirato l’attenzione dell’interlocutore anche in mezzo ad una bolgia infernale. Non si poteva resistere ai suoi richiami. Ho sempre pensato che il canto delle sirene che volevano ammaliare Ulisse legato all’albero di maestra della sua nave fosse uguale alla sua voce. Ed infatti ogni tanto cantava qualche motivetto in modo ineguagliabile per cui mi chiedevo spesso perché i suoi genitori non l’avevano iscritta ad una scuola di canto.

Ogni tanto – quando i nostri genitori erano assenti –  alla fine dei ripassi facevamo l’amore. Era il giusto premio che ci spettava una volta terminato il faticoso studio, che io volevo sempre concludere  in anticipo. Ma lei, con la sua incantevole voce, mi richiamava all’ordine dicendomi che non tollerava eccezioni. Dovevamo completare lo studio fino all’ultima riga prevista dal programma. Sempre.

La sua incantevole rigidità si riverbava in modo evidente sul suo libretto di esami. Il voto più basso era trenta ( ricevuto da una docente, la quale – forse per invidia – aveva resistito al suo fascino accattivante ). Gli altri erano tutti trenta e lode e qualche professore le esternava il proprio disappunto perché non le poteva dare di più.

Io – nonostante le sue lezioni – viaggiavo intorno al ventisei, e ne ero molto soddisfatto.

Finì gli esami poco prima di me e si prenotò per la discussione della tesi nella sessione estiva, affrontando un argomento di difficoltà pazzesca che ricordo ancora perfettamente perché ne discutevamo animatamente, prima di darmi il solito premio di fine lavori. La tesi aveva per oggetto le “Possibili conseguenze civili e penali nell’ordinamento italiano dell’irrituale comportamento sessuale dell’essere umano nei confronti dei propri simili.”

Un compito per me insormontabile, che lei affrontava con tutte le sue forze. Nonostante ciò, dopo tre mesi di ricerche, ancora non aveva scritto una riga. Eravamo negli anni sessanta, anni bui in relazione al tema assegnatole, per cui dovette ricorrere ad autori stranieri per catturare qualche idea da sviluppare e con tutte le connesse difficoltà di traduzione. Vada pure per l’inglese, ma per tradurre parte di un testo svedese dovette ricorrere ad un esperto.

Ma non mollava. Avrebbe potuto facilmente rinunciare a quella tesi e sceglierne un’altra. Ma non avrebbe mai accettato la sconfitta.

Lo stesso relatore ogni tanto le chiedeva notizie ( secondo me era in attesa di imparare qualcosa su quell’ostile argomento ) e lei rispondeva semplicemente che ci stava lavorando.

Nonostante lo scoramento, non perdeva la sua dolcezza e continuava ad essere quella di sempre: disponibile, gentile, affettuosa, mai nervosa, remissiva, decisionista ed autoritaria allo stesso tempo.

Finalmente un giorno mi chiamò e mi disse di correre da lei perché aveva una grande notizia da darmi. Mi precipitai pensando che probabilmente aveva rinunciato a quella tesi e se ne era fatta dare un’altra.

Mi sbagliavo completamente. Appena giunto mi diede tre fogli dattiloscritti e mi disse: “Leggi”.

Obbedii e lessi tutto lo sviluppo che avrebbe avuto il testo completo della tesi.

 Era fantastico!

Venivano indicati tutti gli argomenti che sarebbero stati trattati, le connessioni tra i vari capitoli, le norme giuridiche coinvolte, i riflessi negativi e positivi sulla vita delle persone interessate, l’atteggiamento di quelle coinvolte e di quelle agnostiche, l’oggetto della conclusione che avrebbe dovuto prevedere la massima libertà dei comportamenti e l’abolizione di tutte le norme che ne impedivano la realizzazione. Tutti argomenti che una ragazza di ventitré anni non aveva vissuto neanche lontanamente.

L’abbracciai e le dissi: “Ma come fai? Sei un genio oltre ogni mia immaginazione. E dire che ti conosco bene e da tanto tempo!”. Poi pensai tra me e me che il merito del risultato raggiunto   era anche un po’ mio perché l’avevo spronata e pungolata per tanto tempo, dicendole che non l’avrebbe scritta mai.

Giunse il giorno della discussione e lei diede una lectio magistralis a tutta la commissione, la quale appariva intimidita dall’eloquio forbito ed elevato della candidata, che affrontava argomenti scabrosi con tale grazia e competenza da restare allibiti. Qualcuno osò chiedere: “Cosa intende dire a pagina… quando chiama in ballo….”- E lei “Mi sembra abbastanza evidente….non vede solo chi non vuol vedere. E’ questo il difetto di questa società ancora legata a schemi superati dai tempi, ma soprattutto formata da giovani che si sentono prigionieri di stilemi e tabù costruiti intorno a loro da parrucconi e falsi maestri con il solo intento di imbrigliarli nel passato al solo fine di conservare il proprio potere.”

E così via. Sembrava che i componenti della commissione – ad un certo punto – avessero paura di farle domande per evitare di avere risposte così dotte e salaci.

Io la guardavo con gli occhi sgranati e restavo stupito dal piglio dotto e aggressivo con il quale esponeva i cardini principali del suo lavoro. Sentivo che ormai stava diventando un’altra – virago come la regina di Palmira Zenobia – e che ormai mi sopravanzava in tutto e per tutto, e che dovevo rassegnarmi a perderla. Era una sensazione spiacevolissima che mi faceva piangere, ma  lei scambiò le mie lacrime per l’emozione causata dal suo successo.  

Conservo ancora una copia di quella tesi e una settimana fa l’ho riletta. Sembra scritta ieri e non certo da una ragazzina degli anni sessanta.

 Soltanto una piccola parte di quelle cose di cui Irma propugnava la riforma sono state attuate. La tesi conserva la sua freschezza e  in ogni riga appare la dolcezza con la quale l’autrice trattava argomenti audaci e scabrosi.

Non serve dire il voto che ha avuto, ma la commissione – alla fine della discussione – si alzò in piedi a applaudì la ragazza segnalando la tesi per la pubblicazione.

Dopo l’incoronazione con il serto e la feluca blu, la festeggiammo con grandi acclamazioni e abbracci per così tanto tempo che i genitori non ebbero modo di avvicinarla.

Il giorno dopo andai a trovarla e la trovai completamente diversa.

 Ormai era solo Irma. Non più dolce. Quel lavoro l’aveva completamente trasformata. Cercai di blandirla in ogni modo ma non ci fu verso di baciarla ed abbracciarla. Mi disse che il giorno dopo sarebbe partita con i genitori per un periodo di riposo in Svizzera e che ci saremmo rivisti al suo ritorno.

A settembre venne a trovarmi e mi disse che a Zurigo aveva trovato subito lavoro in un’impresa di import-export ed aveva accettato perché davano uno stipendio favoloso. “Dove alloggerai?” le chiesi. “Dal mio amore” mi rispose guardandomi fisso negli occhi a mo’ di sfida. “Si chiama Frida”.

Trasecolai!!!!! Dov’era finita la mia dolce Irma? Da quale perfida metamorfosi era stata colpita?

Domande – nonostante il tempo trascorso – che sono ancora senza risposte.

Ogni volta che la ripenso mi viene in mente – adattato a me  – il famoso versetto di Dante: “Galeotta fu la tesi e chi la scrisse!”.   

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