L’ ATTESA, FIGLIA DELLA DISPERAZIONE

Beaumont sur Mer -Esiste una canzoncina popolare che si canta facendo un girotondo, specialmente durante il Carnevale. Un bimbo viene messo al centro del cerchio e alla seconda strofa sceglie una nuova

Colombina la messaggera cerca, cerca la Primavera

la più bella che ci sia me la voglio portare via.

Ecco qui che l’ha trovata, tutta bella incipriata

con le scarpe di cioccolata, Colombina vuol ballar.

E’ la sera di Carnevale, Colombina vuol ballare

e si fece accompagnare da un vecchio Barbablù

che saresti proprio tu.

In uno dei suoi Dialoghi, Luciano di Samosata immagina che Giove e Mercurio si improvvisino venditori di filosofi e che uno scrupoloso acquirente interroghi ad uno ad uno i sapienti delle diverse scuole, per saggiare l’opportunità dell’acquisto. E così, dopo aver interrogato Pitagora e Diogene, l’estroso compratore si trova di fronte ad uno spettacolo che lo colpisce: i due filosofi che Giove e Mercurio magnificano per la loro saggezza gli appaiono uniti da un singolare contrasto poiché l’uno ride, l’altro invece piange.

Il filosofo che ride è Democrito: se tutto è davvero una danza di atomi nel vuoto allora ogni vicenda umana deve rinunciare alla sua pretesa di senso e, risibili, debbono apparire le preoccupazioni e le cure degli uomini che non sanno adeguare le proprie passioni a ciò che la ragione del mondo cerca di insegnare agli umani.

 Al riso del filosofo cui la ragione consiglia di prendere commiato dalle passioni del mondo fa da contrasto il pianto di Eraclito, il filosofo del divenire umano che non riesce a scostare gli occhi dalla fugacità degli eventi, e che nel tempo, che travolge tutte le cose, avverte la tragicità di un mondo in cui il senso trapassa nel non senso, il valore nel differenziato da colori e schiamazzi.

Il Carnevale! La soluzione a tutti i mali. Il toccasana dei poveracci. Il Santo di tutti i santi! Inoltre, il carnevale è considerata la festa dell’allegria per eccellenza. Uomini e donne di ogni ceto sociale si recano a balli in maschera e sfilate variopinte, cercando di liberare la fantasia e di catturare un po’ di felicità. Lo scherzo “vale” ed il commercio che vi è connesso raggiunge il suo apice; vengono acquistati, da chi può, vestiti da indossare solo per qualche giorno, poi, come ogni anno, rimangono soltanto piazze e strade da ripulire.

Prima però si celebra il rito della Estrema Unzione del Carnevale alla vigilia del Martedì grasso, ultimo giorno di festa, e preannuncia l’avvento di astinenza e penitenza della Quaresima a cui ci si sottopone. Una volta, per l’occasione, si metteva in scena una singolare mascherata: una banda di finti sacerdoti sfilava per le vie delle città e impartiva una bizzarra benedizione, recitando in vernacolo la vita del morente Carnevale. La processione, dalle prime ore della sera fino a notte fonda, vagava per piazze e locali.

E si arrivava così al Funerale del Carnevale, cioè al Martedì grasso segnando la fine delle licenze carnevalesche. I festeggiamenti culminavano solitamente con il processo, la condanna, la lettura del testamento, la morte e il funerale di un fantoccio, che rappresentava allo stesso tempo sia il Potere di un auspicato e mai pago mondo di “cuccagna”, sia il capro espiatorio dei mali dell’anno precedente.

La fine violenta del fantoccio poneva fine al periodo degli sfrenati festeggiamenti e malefatte. Tutti i Meridionali andranno a dormire a notte fonda quel Martedì e il mercoledì il Mezzogiorno dovrebbe svegliarsi, e come l’araba Fenicia, risorta dalle ceneri dopo aver preso coscienza delle proprie sconfitte ed errori, diventare vincente, anche senza il Nilo!

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *