LA GEMELLA UNICA

Stavo con Silvia, dipendente di un ministero che non esiste più, con la quale passavo le ore più liete di quelle giornate che vorresti che non finissero mai.

Era rossa e la mia preliminare occupazione quando si sdraiava sul letto, era quella di contare le efelidi che ricoprivano il suo atletico corpo e che non finivano mai perché presenti fin nelle parti più recondite.

Il colore rosso le conferiva un fascino travolgente che permeava tutta la sua persona.

Un giorno, (un maledetto giorno lo definii successivamente) mi disse che era giunto il momento che io sapessi tutto di lei.

Aveva una gemella, di nome Alvisi  ( la perfidia dei genitori giunse al punto di  darle un nome che era l’anagramma di Silvia ) con la quale aveva passato una vita da incubo a causa dei  loro genitori  i quali le vestivano sempre uguali, stessa scuola, stessa classe, stessi amici, stessa facoltà universitaria e che le esibivano ai propri amici come un miracolo della natura.

Erano indistinguibili al punto che furono costrette a sostenere gli esami  universitari contemporaneamente, al fine di evitare che  una di loro potesse sostenerli anche per conto della gemella.

Inoltre i genitori ripetevano spesso a Silvia che doveva sempre vigilare sulla sorella perché lei era la più grande (di 30 secondi).

Giunte alla maggiore età decisero di porre fine al loro omozigotismo e, di comune accordo, separarono le loro vite.

Scelsero lavori completamente diversi e finalmente acquisirono al !00 per 100 ognuna la propria personalità, mai più condizionata dal passato che ne aveva limitato l’evolversi in modo naturale.

“Ieri l’ho incontrata dopo tanto tempo” mi disse, “ e abbiamo parlato per ore del nostro passato e del nostro futuro”.

“Abbiamo parlato anche dei nostri amori, e io le ho detto di te in modo talmente innamorata che alla fine ha espresso il desiderio di conoscerti.

Certo potevo dire di no, ma dissi di sì. Spero che tu non abbia nulla in contrario”.

“Scherzi?” risposi. ”Portala quando vuoi”.

E giunse il giorno.

 Rimasi di stucco. Stessi capelli, stessi occhi, stesso colore della pelle, stesse efelidi sugli stessi punti.

Parlammo per qualche ora sul divano, poi decidemmo di spostarci sul lettone dove, ovviamente, cambiammo discorso.

Lì si scatenò la mia fantasia la quale viaggiò tra braccia e gambe da far invidia alla dea Kalì, al punto di perdere il senso della realtà.

A conclusione dell’incontro ero talmente ilare che già pensavo a quello successivo.

Il giorno dopo Silvia venne a trovarmi e subito mi aggredì-

“Ieri ti sei comportato da vero stronzo. Ti sei dedicato tutto a lei mentre io, messa da parte, vi osservavo. Hai fatto un capolavoro di egocentrismo facendomi capire che eri stanco di me! Ebbene, ti accontento subito!”

A me non sembrava affatto così, per cui cercai di farla ragionare, ma era talmente inviperita che più parlavo, più la cosa peggiorava.

Ad un certo punto prese la borsetta, me la sbattè in faccia e scappò come se fosse inseguita da un killer.

Non le rividi più ma non ho mai smesso di interrogarmi su quello che era realmente successo in quell’incontro.

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