BRAMOSO

Beaumont sur Mer -All’avidità e all’avarizia ha dedicato una ricerca un gruppo di psicologi sociali olandesi e russi; i risultati dello studio sono stati pubblicati sul British Journal of Psychology. Definita come “forte desiderio di più ricchezze, possedimenti, potere, eccetera, rispetto ai bisogni di un individuo”, sull’avidità si sono interrogati psicologi, scrittori e religiosi, dandone più spesso interpretazioni negative, perché è considerata la fonte dell’avarizia, della frode, della corruzione e perfino la vera causa scatenante delle guerre.

Tra i ricchi non c’è qualcuno che non desidera i beni altrui più di quanto custodisce i suoi? Chi tra i ricchi non manda via dal suo campicello il povero e a bandire il misero dai confini del podere ereditato? Di quale ricco non infiamma l’animo un possedimento vicino? Non è nato un solo Achab, ma, ciò che è peggio, ogni giorno nasce un Achab e a questo mondo mai muore.

L’Achab di cui si parla in questo testo, era Re d’Israele (9° sec. a.C.). Figlio e successore di Omri, regnò dall’875 all’854 a.C. Il suo matrimonio con Jezebel, figlia del re di Tiro, aprì Israele all’alleanza con la città fenicia. La politica estera di Achab fu caratterizzata dai ripetuti conflitti con la vicina Damasco. Achab trovò la morte nel tentativo di riconquistare la città contesa di Ramot di Gile’ad.

E’ difficile che qualcuno dei ricchi si rivolga a uno psicoanalista perché si sente avaro È invece facile che, nel corso di un trattamento richiesto per altre ragioni, emergano tratti di carattere, o meglio, comportamenti che, dagli altri, vengono etichettati come avidità o avarizia.

È difficile, cioè, che Re Mida, o Arpagone, si rivolgano a uno psicoterapeuta, dal momento che questo assetto del carattere è da loro vissuto come un magico talismano, un irrinunciabile salvagente, con il quale far fronte a un mondo senza scrupoli.

Sull’avidità dei ricchi: Se si posseggono mille miliardi di euro, cosa cambierebbe lasciarne la metà al fisco? Ne resterebbero comunque abbastanza per provvedere ai bisogni della propria famiglia per le prossime trentotto generazioni.

«Greed is good!». Così si esaltava Michael Douglas alias Gekko nel film di Oliver Stone, ‘Wall Street’, sul «denaro che non dorme mai»: “L’avidità è buona!” È tornata a risuonare qualche mese fa, in una video-conferenza riservata ai parlamentari inglesi, per bocca di Boris Johnson che si è lasciato andare a proclamare che la vittoria sul Covid, ottenuta col vaccino, la si deve al «capitalismo e all’avidità”.

Un secolo e mezzo fa, il famoso capo indiano Sitting Bull (Toro Seduto) rispondeva: “Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche.“

Mi torna in mente il protagonista dell’Avare (1668) di Molière, personificazione dell’avaro integrale, non solo geloso di quello che ha, ma cupido di accrescerlo; la sua stessa sensualità diviene cupidigia di possesso.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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