Papu’…..

L’unica e Nobile Donna, Papù, che riesce a piangere e ridere ad un tempo; ed il suo sorriso è certamente figlio della sua melanconia meridionale, e per essa sola si spiega e si rende intelligibile e chiaro.  L’amore non muore quasi mai di morte naturale. Muore perché le persone non sanno come rifornire la sua sorgente. Nei pressi di Gaeta, una paziente alla propria psichiatra in un centro di salute mentale disse: “L’amore, anche quello fisico, deve essere innaffiato di lacrime, risate e parole, di promesse, di scenate” . Anais Nin, nel suo Delta di Venere, scriveva: “L’amore ha come ingrediente anche le spezie della paura, di viaggi all’estero, di facce nuove, di romanzi, di racconti, di sogni, di fantasia, di musica, di danza, di oppio,…di vino”.

L’amore è una malattia senza la quale non si sta bene.” Uno stato di benessere che può far stare male. Produce estasi e tormento, appagamento ed ansia allo stesso tempo. Per prevenire e combattere l’influenza è più importante una telefonata d’amore o una spremuta d’arancia? La risposta è apparentemente semplice: essere innamorati ed avere un po’ di conforto dalla persona amata può far piacere certo, ma non potrà mai fare bene quanto una bella scorta di vitamina C… senza dimenticare poi che l’influenza è una malattia: come potrebbe mai essere d’aiuto una telefonata d’amore?

Aristotele, nelle pagine introduttive della “Metafisica”, ci racconta che erano Esiodo e Parmenide a suggerire che l’amore fosse la forza che muoveva le cose e le manteneva insieme. “L’amore è composto da un’unica anima che abita in due corpi” e aggiungeva “Amare è gioire”, non solo per essere amati, ma perché si ama! non più nella sua privata individualità ma nella fusione con l’anima dell’amato, realizzando in piccolo l’unione di tutte le anime nell’amore cosmico che era l’origine e il destino dell’uomo e dell’intero universo, composto di cose separate e individuali ritrovava la sua unità alla fine dei tempi spinto dalla forza dell’amore; l’uomo era il microcosmo immagine dell’universo.

Si arriva così all’era moderna: Il Tartaro Mandricardo incontra un giorno sulla riva di un fiume un gruppo di soldati; proteggono Doralice, figlia del re di Granata e sposa di Rodomonte. Il crudele cavaliere vuole mettere alla prova quel gruppo di soldati. Chiede di poter vedere la ragazza e li assale. Mandricardo combatte con una lancia. Aveva infatti trovato solo l’armatura di Ettore, la spada Durindana era stata già presa da Orlando. Il  quasi Cavaliere è intenzionato a non usare nessuna spada finché non riuscirà ad impossessarsi di quella del Paladino Orlando. Anche con la sola lancia spezzata, il Cavaliere saraceno fa una strage. Alcuni soldati cercano infine di scappare, ma Mandricardo non sopporta l’idea di lasciare superstiti: li insegue e completa la sua opera.

Vista la bellezza di Doralice, Mandricardo se ne innamora e come premio per la propria vittoria diviene quindi prigioniero d’amore:

Se per amar, l’uom debbe essere amato,

merito il vostro amor; che v’ho amat’io:

se per stirpe, di me chi è meglio nato?

che’l possente Agrican fu il padre mio:

se per ricchezza, chi ha di me più stato?

che di dominio io cedo solo a Dio:

se per valor, credo oggi aver esperto

ch’esser amato per valore io merto.”

I versi appena citati appartengono a Ludovico Ariosto, autore rinascimentale dell’ “Orlando Furioso”, Canto XIV.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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