A Reggio Emilia da vedere

C’è l’Art Brut, l’arte degli artisti inconsapevoli e istintivi, con le loro opere figlie della solitudine e di un impulso creativo totalmente gratuito: Jean Dubuffet fu il primo a entusiasmarsene, e i lavori da lui raccolti costituiscono oggi il nucleo fondamentale della Collection de l’Art Brut, importante museo di Losanna. Ma c’è anche una certa arte, prodotta da artisti consapevoli, e che tuttavia l’Art Brut può ricordare. Con qualche differenza. Spesso, per esempio, gli artisti dell’Art Brut imitano gli artisti veri senza saperlo. Invece, quando un artista “di mestiere”, diciamo così, prova a risalire alle sorgenti della spontaneità creativa, non può evitare di farlo inseguendo un mito primigenio, un po’ fingendo di spogliarsi della propria consapevolezza. E se non vale accomunare i primi ai secondi sottolineando una loro sempre possibile marginalità, psichica o sociale, se non conta il loro frequente iscriversi al partito dei ribelli, quale filo li unisce? Che cosa associa le opere realizzate da carcerati, pazienti psichiatrici, senzatetto o semplici misantropi (tutti comunque – quasi sempre – privi di qualsivoglia formazione artistica) alle visionarie opere di geni acclamati nei musei di tutto il mondo? 

Reggio Emilia quel fil rouge hanno provato ad annodarlo stringendolo attorno a un aggettivo: inquieto“L’arte inquieta. L’urgenza della creazione” si chiama infatti la ricca mostra in corso fino al 12 marzo 2023 nel cinquecentesco Palazzo Magnani (alla riapertura dopo due anni, è sede della meritoria Fondazione Palazzo Magnani, che ha da tempo individuato la propria vocazione culturale nella convinzione che “l’arte debba avere un ruolo fondamentale nel percorso di affiancamento, recupero o trasformazione della salute, del disagio e della fragilità”). Accostando 140 opere di artisti sia famosi sia ignoti, la mostra ruota attorno al tema, perenne e quanto mai attuale, dell’identità, il cui perimetro è variamente tracciato da chi ha nel suo essere “inquieto” la spinta propulsiva e la ragione ultima della propria opera creativa. Notevole e inedito lo spunto di partenza: l’esistenza in loco di una delle più estese collezioni di art brut in Europa, l’Archivio dell’ex Ospedale psichiatrico San Lazzaro, l’ex manicomio dove negli anni ’30-’40 fu ricoverato tre volte anche il pittore Antonio Ligabue.

Fonte:Touring club c

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