IL PROBLEMA DEL GOVERNO MELONI SI CHIAMA SALVINI

puntura di spillo 230

          E’ inutile girarci intorno. Il problema di questo governo uscito stravittorioso dalle urne del 25 settembre si chiama Matteo Salvini. Lo è stato con il governo Draghi dopo una prima breve pausa di… soggezione dovuta alla “caratura” del Premier. Lo è ora, da subito, con Giorgia Meloni cui il segretario della Lega non riconosce di fatto alcuna premiership.

Il Colle lo sa bene e, scuola democristiana doc, lo tiene d’occhio anche perché non dimentica certe “scivolate” ai tempi del Conte 1.

E Giorgia Meloni?  Forse lo temeva ma ha le mani legate, almeno in questa prima fase. Dio sa quanto è pentita di averlo… issato a bordo della sua imbarcazione targata Destra-destra. Ma il “naufrago”  Salvini  non sembrava così mal ridotto. In fondo, solo tre anni fa,  era stato  pur sempre un raccoglitore di consensi che gli fecero intravedere il “porto sicuro” dei pieni poteri. I sondaggi lo davano al 38 per cento, o giù di là. Oggi gli elettori lo hanno ridimensionato  intorno all’otto, costringendolo a contendersi uno strapuntino con quella che fu la gloriosa armata berlusconiana e con  due “venditori di tappeti” come Calenda e Renzi con un tratto comune: tutti e tre sono antipatici.

Per tornare all’ “immigrato” della politica c’è da dire che, prima di essere ributtato in mare dagli scafisti di turno, lo attendono le regionali in Lombardia dove il “suo” Fontana dovrà vedersela con la Moratti e con Majorino. Ed è difficile, in assenza di risultati,  che gli venga concesso l’appello delle europee.

Ecco perché il Capo leghista ha messo subito a lavoro il fidato Roberto Calderoli per portare in porto, prima dell’appuntamento europeo, l’autonomia  differenziata fra Regioni e Regioni realizzando di fatto un regionalismo di serie A ed uno minore di serie B.

La Lega, pur di piantare una sua bandierina identitaria, dice che non è così. Ma intanto Lombardia, Veneto e Piemonte vorrebbero tutte le 23 deleghe previste dalla Costituzione  assicurando che prima  sarebbero garantiti a tutti i territori i livelli essenziali di prestazione. Solo che – e qui sta l’inghippo del progetto di Calderoli – se questi paletti non venissero fissati entro un anno, le deleghe passerebbero comunque alle Regioni che le hanno richieste e i trasferimenti  seguirebbero la spesa storica con importi molto diversi tra loro. Insomma, “chi ha avuto ha avuto, e chi ha dato ha dato”. Altro che garanzie per tutti i cittadini!

Che sia una “furbata” dell’autore della “porcata” della riforma elettorale lo dimostra il fatto che Calderoli, quatto quatto,  ha portato il suo progetto di “regionalismo sovranista” direttamente nella conferenza Stato-Regioni, guardandosi bene dal passare preventivamente per il Consiglio dei Ministri e costringendo così Giorgia Meloni ad una riunione ad hoc:  non “bocciando”  Salvini ma arginandolo e dando incarico proprio a Calderoli di riscrivere “ex novo” il provvedimento.

L’obiettivo è chiaro. Il segretario della Lega, sull’orlo del naufragio politico, torna alle origini e punta a i voti del Nord dando loro più poteri – e quindi più risorse –  per scuola, turismo,  beni culturali e così via.

Come se questi due anni di covid non avessero evidenziato il limiti del regionalismo sanitario. Ma questo al “naufrago” Salvini non interessa. Gli interessano solo riforme identitarie per il Nord, sulla pelle delle altre Regioni. E’ l’unico modo per non affondare definitivamente.

E’ anche il progetto della Meloni?  C’è da dubitarne!

PdA

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