Contrariamente ad altri Governi che l’hanno preceduto, sembra che la luna di miele dell’Esecutivo a guida Meloni si stia esaurendo, se non sia già finita.
Certo, un mese è un po’ pochino ma i problemi da affrontare e risolvere sono molti e complessi. E la squadra messa su dal Presidente del Consiglio, tranne qualche eccezione, lascia a desiderare.
Però c’è anche una componente identitaria che ha impedito al governo di prendere subito di petto i veri problemi della gente e che gli elettori si attendevano dopo le strombazzature della campagna elettorale. E invece Meloni e Alleati si sono ingegnati a piantare, ciascuno, le proprie bandierine.
Entrati a Palazzo Chigi, ci si è resi conto che i soldi erano pochi e le priorità del Paese altre ma ciò nonostante ci si è mossi con la decisa volontà di dimostrare che in Italia era finalmente arrivato un governo di destra e che “la pacchia era finita”.
Si spiega così, per esempio, il decreto sui rave party peraltro scritto male, forse per la fretta, e del quale nessuno ne avvertiva la necessità essendoci già norme che disciplinavano la materia. O l’elevazione del tetto al contante e l’abolizione delle multe per i negozianti che non accettano pagamenti con carte di credito.
E – diciamolo – è stucchevole ricordare, come fa la Destra, che per la manovra di bilancio il governo aveva solo un mese di tempo per approvarla in consiglio dei ministri, mandarla a Bruxelles, e incardinarla nei due rami del parlamento per votarla definitivamente entro la fine di dicembre.
Meloni e i partiti della destra sapevano che, facendo cadere in piena estate il governo Draghi, si sarebbe inevitabilmente andati ad elezioni e i tempi sarebbero stati questi. Bastava attendere ancora 5/6 mesi per la fine naturale della legislatura, mettere in sicurezza i conti del Paese e il PNRR, grazie anche al contributo dell’allora presidente del Consiglio, autorevole in Italia e soprattutto in Europa. Ed ora invece il Paese paga il prezzo di tanta immotivata fretta. A meno che non si temesse, allora, che qualcuno si potesse sfilare. Ma, come dice il proverbio, la gatta frettolosa fece i gattini ciechi.
E si spiegano così alcune “scivolate” in questo primo mese di governo con i “carichi residuali” del Ministro dell’Interno a proposito degli immigrati da far sbarcare nei nostri porti; o la gaffe “pedagogica” del ministro dell’istruzione, in un secondo momento corretta, secondo il quale “l’umiliazione serve a far crescere” i bulli, i violenti, gli occupanti di una scuola;
E che dire soprattutto della frizione scappata alla stessa Meloni nei rapporti con i giornalisti e della falsa partenza del governo in Europa dopo la crisi diplomatica con la Francia e la fine della triangolazione di Roma con Parigi e Berlino faticosamente raggiunta da Mario Draghi in questi due anni.
Ma non basta. A contribuire al rischio di una progressiva emarginazione europea di Giorgia Meloni ci sta anche la sponda a Strasburgo di Fratelli d’Italia e Lega ad Orban.
Un mese difficile per il nostro Presidente del Consiglio chiamato a correggere la rotta europea dove la mancanza di esperienza, tollerata in Italia, non è una scusante all’estero. Anzi! Come dire: hai voluto la biciletta e mo pedala.
Con Crosetto, Urso, Giorgetti, Calderoli, Fitto forse è possibile. Con tutti gli altri, un po’ meno.
PdA