In quei giorni, per molti aspetti simili all’epoca in cui c’era un profondo senso di sfiducia nei confronti della vita, del progresso e della ragione, in cui la mediocrità umana prevaleva su ogni ideologia e il relativismo prevaleva in ogni strato sociale, il rapporto tra le persone era notevolmente cambiato .
Non c’era più il contrasto identitario poiché i più grandi e i più giovani erano consapevoli del crollo di ogni ideologia assoluta; tuttavia vi era una certa incapacità di comunicare, principalmente a causa del profondo divario socio-culturale. In questo clima, tipico di una società fortemente fondata sul conformismo, dove il non saper twittare era considerato una nuova forma di disabilità, essere “diversi” rischiava di diventare pericoloso perché ispirava paura.
Oggi un pantalone rosa potrebbe diventare un ripetuto oggetto di scherno, un improvviso balbettio motivo di derisione. Fino a liquidare come una “bravata” l’idea disgustosa di gettare una persona dalla personalità fragile in un bidone della spazzatura, o quella di legare un disabile a un albero, e pubblicare le sue foto su Facebook per amplificare la portata dell’umiliazione inflitta.
La vera differenza, unita alla piena consapevolezza di sé e di ciò che era stato, non si raggiunge con risate beffarde, ma solo affrontando l’ostacolo in un confronto ad occhi aperti, indispensabile per la definizione matura di sé e la seria proposta di un ‘contrariamente’ che era davvero realizzabile. In questo ha giocato un ruolo importante il cosiddetto progresso tecnologico, che si è trasformato nell’espropriazione della “memoria” e della storia che ha proclamato il trionfo della cultura del nulla in un mondo di servi e sonnambuli. L’universo della nuova tecnologia e della razionalità ha avuto come risposta un’irrazionalità diffusa e quindi del tutto impotente.
L’uomo per definizione è un essere sociale: dal momento in cui nasciamo interagisce con gli altri e da questa interazione trae nutrimento emotivo e intellettuale. A quel tempo, l’interazione virtuale aveva ricevuto un’impennata vertiginosa, offrendo sempre più contesti e spazi di interazione condivisa che potevano essere fruiti senza il coinvolgimento diretto delle masse corporee.
La pandemia e il conseguente isolamento sociale non hanno fatto altro che contribuire a sviluppare questa tendenza, evidenziando nuovi ritmi e modalità di lavoro, di formazione, di interazione in genere.
Se interagire nella società era ed è tuttora un’esigenza naturale dell’essere umano, il suo opposto, cioè l’isolamento sociale, ha spesso sollevato preoccupazioni e allerte, soprattutto se praticato da adolescenti e giovani adulti.
Poiché la nuova tecnologia era relativamente recente, esistevano poche ricerche indipendenti per stabilire le conseguenze a lungo termine, buone o cattive, dell’utilizzo dei social media. Tuttavia, numerosi studi avevano trovato un forte legame tra i social media pesanti e un aumentato rischio di depressione, ansia, solitudine, autolesionismo e persino pensieri di addio alla vita.
Era un’epoca in cui le conoscenze e le richieste avevano un’evoluzione tumultuosa e non bastava più ripetere e fornire buone prestazioni, ma scoprire ciò che non si conosceva ed ampliare ciò che già si conosceva. “Vorrei …che l’oggi restasse oggi senza domani /o domani potesse tendere all’infinito”. Francesco Guccini.
In un romanzo di Hiroshi Sakurazaka intitolato “All You Need Is Kill”, l’autore stravolge completamente le leggi della fisica con una storia incredibile in cui un protagonista, un codardo addetto stampa in forza ad un fantomatico Ministero della Difesa, è condannato a rivivere sempre la stessa “due giorni” che si conclude ogni volta allo stesso modo: con la propria uccisione.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik