GIORGIA MELONI: DALLA GARBATELLA A PREMIER

          Hai hai,  signora Longari (anzi signora Giorgia), direbbe Mike Buongiorno, mi cade sulla ragazza della Garbatella!

          Per tutta la mattinata, stretta in un  tailleur blu-giorno sopra una semplice  maglietta di seta bianca a girocollo, è riuscita a mantenere nelle dichiarazioni programmatiche alla Camera un severo aspetto istituzionale. Forse aiutata anche dall’impegno di leggere un impegnativo  discorso che si è dipanato per ben settanta minuti in un’aula che senza brusii, ma molti applausi del suo schieramento politico, ha ascoltato la “novità” del primo Presidente del Consiglio donna, per di più giovane e di Destra.

          Poi nel pomeriggio, replicando a braccio sulla base di appunti preparati dal suo staff, le è scappata la frizione e abbiamo ritrovato  nei toni la Meloni dei suoi interventi, spesso urlati, a volte aggressivi, e con una evidente inflessione romana, “stile vox”.

          Un discorso, quello della Premier,  un po’ retorico, qualcuno direbbe da maestrina, che ha diligentemente elencato i vari problemi da affrontare ma vago, senza dire che cosa farà il Governo da lei presieduto e mettendo da subito le mani avanti sulle difficoltà che si troverà ad affrontare.

          E qui Giorgia Meloni è caduta nel cliché degli Esecutivi che l’hanno preceduta gettando su di essi gran parte delle responsabilità della crisi del Paese sorvolando sui due anni di Covid e i 9 mesi, per ora, del conflitto russo-ucraino.

          Ma se poi si guarda alla “squadra” chiamata ad aggiustare la barca si resta abbastanza perplessi. Di “migliori” e “competenti” non sembra ce ne sia l’ombra. Ed ancora mancano viceministri e sottosegretari.

          Passando in rassegna quelli che sedevano sui banchi del governo abbiamo visto ministri già presenti nel 2011 quando, con Berlusconi, stavano portando il Paese alla catastrofe e provocarono la nascita in tutta fretta del primo governo tecnico  della seconda repubblica affidato a Mario Monti.

          Una squadra modesta, quella presentata da Giorgia Meloni, con volti noti un po’ invecchiati che  non promettono niente di buono.

          Anche negli anni delle prima Repubblica i governi presentavano più volte ministri di lungo corso. Ma costoro si chiamavano Ugo La Malfa, Saragat, Nenni, Colombo, Craxi, De Mita. Forlani, Andreotti, Fanfani.

          Oggi,  senza voler offendere nessuno,abbiamo i Mantovano, i Salvini, i Calderoli, i Tajani, le Anna Maria Bernini, le Santanchè, i Lollobrigida, i Ciriani. Mutuando da una fortunata serie televisiva, verrebbe da dire  “Che Dio ce la mandi  buona!”. E le premesse infatti  non lo sono.

          Digitale e Ambiente sembrano i grandi assenti, mentre desta preoccupazione l’annuncio di Giorgia Meloni, in caso di ripresa del Covid, di non voler  replicare modelli restrittivi e  green pass che invece, e faticosamente, ci hanno fatto uscire dal tunnel dell’epidemia.

          Così come non vanno sottovalutati due provvedimenti che hanno tenuto a battesimo il nuovo Governo: il “fermo” di due navi ONG con centinaia di migranti a bordo. E questo nello stesso  giorno in cui il nipote di immigrati indiani diventa a Londra Primo Ministro. E le cariche della polizia all’Università di Roma, quasi a voler segnare che il vento è cambiato, come avvenne nel 2001 con i fatti di Genova alla caserma Diaz.

          Anche allora il governo era di centrodestra e Gianfranco Fini, segretario di AN, ne era uno dei due Vicepresidenti del Consiglio.

Evidentemente, il governo Meloni non parte proprio bene

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