LA CORSA

Pomeriggio di sole di tanti anni fa.

Tutti in pista.

Durante gli esercizi di riscaldamento saluto gli amici.

Ci scambiamo pacche sulle spalle, ci prendiamo in giro, sorridiamo a qualche spettatore, anche se sconosciuto.

L’attesa è frenetica, non vediamo l’ora di iniziare. Vogliamo far vedere agli altri ma soprattutto a noi stessi, quanto valiamo.

Abbiamo tutti una segreta speranza: la vittoria.

Ed ecco il giudice, con completa divisa nera e con severo cipiglio, ci chiama a raccolta sulla linea di partenza.

Mentre prendiamo posizione mi accorgo che il richiamo del giudice ha spento il sorriso sul volto di tutti.

Gli amici non si riconoscono più. Ormai sono tutti rivali in cerca del gradino più alto del podio che premierà uno solo di noi. Ora abbondano le gomitate per conquistare la migliore posizione di partenza.

Gli sguardi sono sospettosi e si controlla che nessuno superi nemmeno di un millimetro la linea di partenza.

Ed ecco il via!

Il folto gruppo scatta in avanti con passi poderosi per conquistare immediatamente le migliori posizioni di testa.

Sento sulla nuca il soffio affannoso del concorrente che mi segue. Vedo i muscoli di quello che mi precede tesi al massimo sforzo nell’intento di staccarmi-

Ma io resisto! Ce la faccio!

In fondo non sono così irresistibili come temevo.

Anzi, più passa il tempo e più acquisto fiducia in me stesso. Mi sento forte e in gamba.

La corsa è lunga, quindi non ho alcuna fretta di conquistare la testa del plotone.

Vivacchio nelle posizioni medio alte, ben coperto dai concorrenti che mi affiancano. Ed ecco i primi cedimenti: il concorrente numero 6 è già staccato di molto e presto si ritirerà. Altri lo seguiranno a breve.

Queste defezioni, lo ammetto, mi procurano una certa soddisfazione perché la schiera dei possibili vincitori si assottiglia.

Ma ecco che anche il mio amico Luigi cede di schianto. Allora lo sorreggo, lo incoraggio, lo prego di continuare e di non lasciarmi solo in mezzo a questo branco di lupi . Tutto inutile: mi supplica di non insistere, il cuore gli ha ceduto, abbandona.

E’ il primo grande dolore della mia vita. Non sono più quello di prima e mai più lo sarò. Il compagno delle mie più tenere ed innocenti avventure giovanili non è più con me.

 Rallento la corsa.

 A cosa serve continuare?

Il gruppo mi sopravanza, ormai sono in coda, la mia mente è lontana, il mio sguardo è rivolto all’indietro verso quel corpo esamine quando, all’improvviso, l’urlo del pubblico della tribuna mi ridesta. Il mio egoismo allora prevale sui sentimenti e riprendo a correre. Sento che la vita è la corsa stessa ed allora moltiplico l’impegno e rimonto posizioni su posizioni, raggiungo il centro del gruppo e mi consolo con il pensiero che se faccio questo, lo faccio anche per lui.

Infatti ora  sento che il mio amico è tornato al mio fianco e mi sprona.

Mi incita dolcemente e mi assicura che vincerò.

 Stranamente, senza affanno e senza sudore,  ricomincio a guadagnare posizioni su posizioni.

Infatti ora sono in testa.

Mi sento come se la corsa fosse appena incominciata, quindi forzo l’andatura e i cedimenti degli avversari non si contano più.

Resta ormai solo un manipolo di concorrenti che sento di dominare facilmente.

Da quel pomeriggio di tanti anni fa continuo a correre  e mi faccio mille domande che regolarmente non trovano risposta.

 Io mi sento ancora in forma e, con l’aiuto del mio amico, sono in grado di superare i concorrenti. Ma fino a quando?

Alla fine della corsa cosa conterrà la coppa che spetta al vincitore?

Quale sarà la meta? Quando il giudice  scatterà il fotofinish sarò in grado di comprendere il significato di tutte queste corse che affollano la mia esistenza?

Alla fin fine siamo sicuri che il vincitore sia stato io o, piuttosto, il mio amico che con il suo abbandono ha evitato anni di dolori e delusioni che la vita immancabilmente reca con sé?

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