NASCERE IN RIVA AL GRANDE MARE

Beaumont sur Mer

La mia è stata una vita all’insegna del viaggio, ma non un viaggio di piacere. E’ stata tratta più una fuga, di un continuo spostamento alla ricerca di un posto dove vivere. La mancanza di un’identità di partenza favorì questa trasferibilità, caratterizzata  da un’evidente irrequietezza. Trasferendomi dalla Calabria  in Canada e poi a Roma  ed infine ritornare in Calabria, senza riuscire a trovare un posto dove sentirmi realmente in pace. Il viaggiare ha causato in me uno sradicamento, un’angoscia
esistenziale,  simile ad una condanna da a-sistemico.
Tornando da Roma in macchina, mi ero fermato a bere un caffè presso il bar dell’amico Dario sulla SS18. Appena uscito, dopo aver salutato l’amico, sulla strada la prima sorpresa. Un anziano hippy che a voce alta diceva:
“Ahi serva Amantea, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincia, ma bordello”.
Dopo il primo momento di sgomento e panico, attraversai di corsa la statale per scomparire in un piccolo tunnel che mi portò dritto davanti al Mare dei mari. Mi rivolsi all’Ulisse per chiedergli aiuto cantandogli:
Amor ti vieta di non amar
La man tua lieve, che mi attira e respinge,
cerca la stretta della mia.
Non importa quanto abbia cercato di evitare l’incertezza della vita. Ad un certo punto una sensazione di jim-jam mi ha travolto proprio come è stato per alcuni della mia generazione. “Niente panico” – continuavo a ripetermi mentre prendevo decisioni importanti riguardo al futuro, navigando incautamente su di una nave greca, la moderna Argos, prima di scoprire che avrei voluto essere il suo capitano capace di scegliere la direzione e la rotta sul Mare della vita.
Così avrei indirizzato la prua verso il bosco più vicino, dove entrando avrei trovato un infinito numero, di ulivi selvatici, ma che sarebbero cresciuti così intrecciati e lavorati insieme, da non permettere, con il vento umido, di giocare tra i loro rami e tantomeno al sole cocente di perforare i loro rifugi, né acquazzone attraversare le proprie frasche, diventate così spesse e piegate l’una nell’altra.
Qui, mi addentrai, feci il mio letto di foglie che cominciavano a cadere. Ve ne erano una tale abbondanza che due o tre uomini avrebbero potuto stenderle su una ampia area, tali da proteggerle dalla furia dell’inverno, sebbene l’aria respirasse acciaio e soffiava come se stesse per eruttare.
Strisciando dentro, accumulai una scorta di foglie tutt’intorno a me, come un uomo farebbe un alloggio su un fuoco d’inverno, e mi sdraiai in mezzo.
Ricco seme di virtù che giace nascosto nelle povere foglie! Qui Minerva mi diede presto un sonno profondo; e qui tutte le lunghe fatiche trascorse sembravano concluse e rinchiuse nella piccola sfera delle mie palpebre disinfiammate e chiuse.
Mentre questi pensieri mi distraevano con la varietà del pericolo, un’onda più grande spinse contro una roccia aguzza il mio corpo nudo, che si squarciò, desiderando che mi spezzasse tutte le ossa, così rude fu lo shock.
Ma in questa estremità mi ha spinto chi non mi ha mai deluso. Minerva (che è la saggezza stessa) mi ha messo nel pensiero di non continuare a nuotare come uno che indugia nel pericolo, ma di forzare fisicamente la riva e di abbracciare la roccia che mi aveva lacerato così brutalmente. Con entrambe le mani strinsi, lottando con l’estremità, finché la collera di quel maro sito che mi aveva spinto su di essa, finì.
Poi di nuovo la roccia respinse quell’onda così furiosa, che mi strappò dalla mia presa, inghiottendomi nel suo ritorno, e la roccia aguzza, a cui mi aggrappai per soccorso, strappò la carne dolorante dalle mie mani nel separarsi, che cadevo e non potevo più sostenermi.
Finii sott’acqua e, oltre l’aiuto del fato, lo, sfortunato figlio Ulisse, avrei perso ogni parte che avevo in questa vita, se Minerva non avesse spinto il mio buonsenso in quel pericolo a tentare un’altra strada e ad esplorare qualche altro rifugio, cessando di cercare quell’approdo.
Voglio affrettarmi al domani
Vagheggiare sogni diversi ogni giorno sotto tanti desideri.
Quel bambino ha sofferto così tanto tempo per diventare me!
Ci allontaniamo man mano che i giorni si accumulano.
Non credo che io possa riconciliarmi
Non credo che migliorerò.
Quando ero ragazzo, il mare di Ulisse non si prosciugava mai nel mio cuore.
Ora sono rimaste solo deboli tracce di allora.
Sulla sua battigia Il suono del mio respiro è pieno di turbamento.
La brezza continua a soffiare sulla mia testa.
Avrei voluto diventare un’onda e filare ovunque.
Quando aprivo lentamente gli occhi finivo sotto una piccola paura.
Ogni istante del mondo arrivava da me diventando un regalo abbagliante.
Avevo molti dubbi ma sentivo di poter finalmente rispondere a me stesso.
I ricordi oltre l’orizzonte del grande Mare mi chiamavano.
La voce, dimenticata da molto tempo,
torna contro l’onda nel luogo dove è nato il Mare di Ulisse dentro di me.

Gigino Adriano Pellegrini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *