Beaumont sur mer
Disertavo la mia terra in un mattino piovoso e freddo. Come trenta anni prima mio padre.
“Tra paese e città la terra nuda, il silenzio della campagna e una voce quanto più lontana”, scriveva Rocco Scotellaro nel suo “Viaggio di ritorno” negli anni cinquanta… Nulla cambiava al Sud della nostra penisola. Partivano e restavano. Stupidi e furbi. Buoni e violenti. Un meccanismo che non ha mai smesso di consumare vite umane, destini unici.
Tornavo a casa pensando al bar,
saturo di sigarette fermentate.
Le acque dell’Ulisse, l’unico rimedio alle inguaribili ferite.
Non stupisce che aumenti il senso di insicurezza, la frustrazione e anche il risentimento di gran parte dell’opinione pubblica nei confronti delle classi dirigenti economiche e politiche, considerati i principali responsabili dell’attuale situazione. Il malcontento è talmente diffuso che dalla piazza si è trasferito alle urne, come dimostra la scarsa affluenza negli ultimi anni.
Grandi protagonisti della contestazione sono i giovani. Accusati di non sapersi accontentare degli impieghi meno qualificati offerti dal mercato del lavoro e di non volersi impegnare nella “cosa pubblica”, le nuove generazioni stanno partecipando attivamente ai moti di protesta che si diffondono in tutta Europa (per es. le grandi manifestazioni a favore del popolo palestinese) e utilizzano i nuovi media sperando di far sentire la loro voce nell’arena politica.
E’ una generazione istruita e piena di competenze, che si rende conto di essere tra le vittime della crisi economica globale, che rivendica il diritto a costruirsi un futuro e di far sentire la propria voce. Puntuale, la politica ufficiale è sorda alle richieste dei nuovi movimenti politici che utilizzano internet e i social media per criticare e presentare proposte alternative.
I due mondi non comunicano: mentre i politici partecipano a solenni conferenze e si concentrano su grandi quanto indefinite tematiche, come la riforma dell’Unione Europea e il destino della moneta unica, i giovani europei esprimono non solo preoccupazione per il proprio destino lavorativo ma anche la volontà di dare un contributo alla discussione sul fallimento del sistema liberal democratico che avrebbe dovuto garantire alle nuove generazioni un futuro di crescita culturale e di lavoro.
Poi ci sono i figli di un dio minore: i Calabresi. Molti, a causa della crisi hanno ridotto le spese mediche (rinunciano a curarsi: soprattutto cure dentistiche). Emergency, fondata da Gino Strada, di solito presente nei teatri di guerra ( Afghanistan, Sierra Leone) ha aperto un proprio ambulatorio a Polistena, in provincia di Reggio Calabria. In aumento l’emigrazione sanitaria verso gli ospedali del Nord (nonostante la sanità regionale occupi la prima voce di spesa di bilancio!). Una buona fetta di calabresi si reca nei “compro oro” per cavare qualcosa dai propri “ricordi”. Tanti calabresi hanno mutato la propria abitudine di spesa (si compra nei discount o si aspettano le offerte nei supermercati); o peggio si rivolgono direttamente alla Caritas.
Un discreto numero di calabresi si veste ormai nei negozi cinesi (tessuti di infima qualità, se non alle volte cancerogeni). Cinque giovani su 10 sono senza lavoro, 3 su 10 lavorano in nero, 1 su 10 lavora con salario da fame e contratto capestro, 1 su 10 lavora nel pubblico, nella propria o nell’azienda del padre.
Il fenomeno dei “NEET” (acronimo inglese di Not in Education, Employment or Training, che in italiano significa “Non in Studio, Occupazione o Formazione” sono individui non impegnati in alcuna forma di istruzione, lavoro o formazione professionale). è in aumento esponenziale (ragazzi che non lavorano, non studiano e non si formano).Una buona fetta di giovani calabresi ha deciso definitivamente di cambiare Paese per darsi un futuro.
Partono, vanno via. Lasciano casa, famiglia e amici e vanno alla ricerca di opportunità e forse di una vita migliore. Tanto che negli ultimi dieci anni l’emigrazione ha raggiunto i livelli degli anni Cinquanta. In tanti provano a rimanere: studiano, si laureano. Ma niente, alla fine partono.
Alcuni dati fanno un quadro a dir poco deprimente. Sono 15mila i calabresi che ogni anno cambiano residenza. Specialmente i laureati. La Calabria è una delle regioni più povere d’Europa anche perché ha una classe dirigente mediocre, collusa e corrotta e non perde tempo per valorizzare i suoi giovani. Insomma una gestione politico-mafiosa e clientelare.
La cronica carenza di posti di lavoro al Sud ha costretto, nel tempo, i giovani a diventare flessibili e creativi nell’approccio lavorativo. Buona parte dei ragazzi in cerca di occupazione ha un alto livello di scolarizzazione, ha frequentato masters e corsi di specializzazione, ha compreso che è importante essere molto qualificati e si auto-convince di poter restare nella propria terra essendo competitivi.
Tanti, ormai, scelgono la libera professione, tante le start up innovative nel mondo dell’impresa, non molti coloro che non si fanno demotivare dalla crisi ma la sfidano. Insomma, giovani concreti, che cercano di costruirsi un futuro.
Emerge, però, che la crisi ha abbassato anche pretese e aspettative lavorative. Il 50% dei ragazzi laureati, infatti, ha dichiarato di essere disposto a svolgere lavori umili e poco qualificati. Ogni anno decine di migliaia di ragazzi calabresi si presentano per un posto nelle forze di polizia. Si convincono a voler diventare carabiniere, finanziere, poliziotto, vigile urbano, pompiere.
Si preparano, cercano raccomandazioni, molti studiano con diligenza: uno su mille ce la fa. Gli altri ritornano nei propri paesi più amareggiati e sconfortati di prima. Spesso di tratta di giovani diplomati o laureati ma che, come in Calabria come in America Latina, molto spesso, non hanno altra possibilità di occupazione dignitosa e di riscatto sociale se non l’arruolamento nelle forze armate.
Questi giovani, dopo il concorso, non hanno più un volto. Vagano tra i bar dei loro paesi mentre il resto della popolazione fa lo struzzo. Quegli stessi giovani, in ogni vigilia elettorale si aggirano nelle anticamere della politica. Qualche volta scivolano negli anfratti criminali.
Nessuno li organizza, nessuno dà loro voce. Questi giovani meridionali, dopo aver partecipato a uno dei tanti concorsi, non hanno più un volto. Non sono un “soggetto” né politico, né sociale, sono dei “disperati” che al massimo si possono usare in un disegno di contrapposizione ai diritti storici del movimento operaio.
Vagano tra i bar del paese mentre il resto della popolazione fa lo struzzo. Quegli stessi giovani, in ogni vigilia elettorale si aggirano nelle anticamere della politica, sperando di racimolare qualche briciola di lavoro attraverso le cooperative, bacino inesauribile del clientelismo più abominevole.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik