Beaumont sur Mer
Ceice, re della città di Trachine, preoccupato per alcuni eventi nefasti aveva deciso di imbarcarsi per recarsi dall’oracolo del tempio di Apollo, nonostante il consiglio contrario della propria moglie. Giunto a metà del viaggio, la nave naufragò in una tempesta e Ceice trovò la morte affogando. Nel frattempo la moglie – ignara di quanto accaduto – si recava ogni mattina presso il tempio di Giunone pregando affinché l’amato marito tornasse a casa. La dea, impietosita, incaricò una propria messaggera di andare dal Sonno affinché inviasse ad Alcione, moglie di Ceice, un sogno rivelatore, per informarla della morte in mare del marito. Il Sonno scelse, fra i “mille figli suoi”, Morfeo “Che sa meglio imitar l’humano aspetto” Si racconta che Morfeo si avvicini piano a chi sta dormendo grazie alle sue ali, non si fa sentire e riesce a entrare nella mente assumendo la forma delle persone sognate.
Ieri sera mi sono addormentato con un testo di James Hillman fra le mani: “Ciò che invecchia non sono soltanto le nostre funzioni e i nostri organi, ma tutta quanta la nostra natura, quella particolare persona che siamo diventati, e che siamo già da anni.”
Mascherare l’ambizione con l’umano viso.
Il miraggio di un momento
illuminato dal sole prima di svanire.
Con esso l’anima si fa specchio
mentre si osserva nell’interno
e il cuore chiude fuori il desiderio.
Negli ultimi 50 anni, i sogni ricorrenti degli Amministratori di una cittadina storica, come Amantea bagnata dal Mare di Ulisse sulla costa tirrenica della Calabria, avrebbero dovuto consigliare a lor signori che, una frana in un sogno suggerisce che si dovrebbe lavorare sulla propria stabilità mentale ed emotiva e sulla propria paura del cambiamento.
Al risveglio – il Natale dei religiosi era passato- ripresi a leggere Hillman che durante la notte era rimasto fra le mie mani: “Il carattere è andato plasmando la nostra faccia, le nostre abitudini, le nostre amicizie, le nostre peculiarità, il livello della nostra ambizione con il suo corso e i suoi errori.”
Se abbraccio la mia stessa arroganza, quella altrui non mi potrà turbare: potrò notarla, ma non avrà alcun effetto su di me. La letteratura, come sempre, offre una espressione meno patologica anche se altrettanto efficace. Si tratta di una favola di Esopo che narra di una volpe cui una tagliola mozzò la coda. La bestiola si vergognava, così deturpata nella sua eleganza, e gli altri animali, suoi amici, decisero di farle una coda di paglia. La coda era così bella che, chi non sapeva della disgrazia, non avrebbe mai potuto sospettare fosse finta.
Un giorno un gallo si lasciò scappare il segreto e la notizia della volpe con la coda di paglia arrivò fino all’orecchio dei contadini. Conoscendo il punto debole della volpe, questi accesero dei fuochi vicino ai pollai, perché non potesse più rubare i loro polli. La volpe sapeva che la paglia prende fuoco facilmente, e per paura di bruciarsi non si avvicinò più ai pollai.
L’argomento è succoso, ma devo imparare a non essere interminabile. Le persone non sono mai pronte a rispondere. “Nessuno sa cosa toccherà a nessun altro se non il desolato stillicidio della vecchiaia che avanza.” Jack Kerouac.
È imbarazzante vedere le Amministrazioni della cosa pubblica meridionale navigare a “vista”. È imbarazzante guardarle mentre progettano qualcosa e poi scoprire che hanno cambiato idea.
Sotto l’occhio ardente dello Stromboli e l’azzurro del Mare di Ulisse. “Con navi io giunsi e naviganti miei, fendendo le salate onde ver gente d’altro linguaggio, e a Temesa recando ferro brunito per temprato rame, ch’io ne trarrò”.
Un po’ d’ottimismo, per chiudere.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik