spifferi di palazzo 26

EXPO: QUALCHE BAUSCIA HA GIOITO PER IL “TONFO” DI ROMA

          Non c’è la prova ma il sospetto esiste. La sconfitta di Roma per l’Expo 2030 ha fatto sorridere qualche Bauscia del Nord, trasferitosi per impegni di governo nella Capitale, ed è mancato un maggiore impegno di Palazzo Chigi, nonostante gli allarmi lanciati in estate. Forse non sarà stato determinante ma se ci fosse stato…

          Come dimenticare che la Meloni, proprio nel discorso di insediamento, aveva promesso tutto il suo appoggio per conquistare il consenso necessario? Una promessa tradita, come molte altre, e con l’aggravante di non averci messo neppure la faccia al punto di non essere andata a Parigi  per la spinta finale. Ci diranno che, poverina, aveva ben altro da fare… Una diserzione alla quale si sono disinvoltamente associati il ministro degli esteri Tajani  e il Governatore del Lazio Rocca.

          E come dimenticare il suo ex capo ufficio stampa Mario Sechi che ci raccontava la favola, solo l’8 ottobre,  che i capi di Stato fanno  a gara per parlarle perché finalmente l’Italia conta. Lo si è visto: terzi dietro addirittura a Busan che pure quelli bravi in geografia non sanno dove sia.

          E perché, tra coloro che non ci hanno votato ci sono anche l’Albania e la Tunisia, paesi con i quali intratteniamo – ci dicono – ottimi rapporti? 

 Eppure la Premier, quando parla, porta evidenti i segni “distintivi” della Garbatella e solo i sordi non se ne accorgono. Ma c’è un problema:  non può non tenere conto degli “appetiti” del segretario leghista che le fa una guerra sotterranea e guarda solo al Nord. A parte il Ponte sullo Stretto che – lui per primo – sa che non si farà.

          E’ un fatto che passare tutti questi anni, fino al 2030,  con Roma che si sarebbe apprestata ad ospitare l’Esposizione sarebbe potuto essere indigesto per la politica sovranista di Matteo Salvini, in vista anche  delle europee di giugno e dell’iter parlamentare dell’autonomia differenziata.

          Ma i guai per la Capitale non finiscono qui. Nella manovra finanziaria in discussione al Senato tante promesse sono state disattese, in particolare per i trasporti nonostante il Ministro, sempre Salvini, avesse garantito il rifinanziamento delle infrastrutture.

          Ma non è così. Le opere per collegare a Roma Vigna Clara a Tor di Quinto, per esempio, sono state cancellate dal PNRR e i relativi soldi hanno preso la strada del Nord. Quindi, nessuna “rimodulazione delle risorse”. E questo nonostante proprio Salvini avesse assicurato che “nessuna opera era stata definanziata”, rimandando alla legge di bilancio. Dove però – alla faccia della parola di Ministro – le risorse non sono state stanziate.

E poi c’è un altro elemento che ha giocato a favore del disinteresse della Premier e dei suoi Vice. In caso di successo la macchina organizzativa sarebbe stata guidata dal quel “rosso” di Gualtieri che non avrebbe esitato a ricandidarsi per un secondo mandato.

E così, addio triplete: Governo, Regione, Comune. Tutti con il “nero” della Destra

          Troppo per un Governo eccessivamente ideologizzato e che  divide il Paese in buoni e cattivi.  Per Meloni e Salvini , tutto sommato, meglio così. La Premier ha meno problemi e il segretario della Lega “castiga” la Capitale, anche se forse alla fine la “pecunia” saudita avrebbe fatto la differenza, come sa bene l’altro Matteo, Renzi. Ma è mancato l’impegno governativo. E questo fa male! Forse avremmo evitato di essere superati dalla Corea del Sud e ce la saremmo potuta giocare al ballottaggio.

PdA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *