Beaumont sur Mer – In principio fu il presidenzialismo. Meloni lo propose durante la campagna elettorale parallelamente al sindaco d’Italia di Renzi, due misure che si assomigliavano e che hanno un punto fondamentale in comune: per realizzarle si dovrebbe stravolgere l’intera Costituzione o prendere in prestito quella francese.
“La tranquillità è solo per i mediocri, la cui testa sparisce nella folla”. Louis-Ferdinand Céline.
La riforma costituzionale del governo Meloni propone un consolidamento dell’esecutivo a discapito delle prerogative di garanzia e del Capo dello Stato, il quale svolge la funzione di equilibrare l’esercizio del potere secondo le regole costituzionali. Il ruolo del Presidente della Repubblica sarebbe ridotto ad un ruolo marginale all’interno delle dinamiche consultive parlamentari. Il premierato renderebbe l’operato politico dei governi più decisionista e muscolare, fondando la sua legittimità sul voto popolare del Primo Ministro.
Il premierato, così come delineato dal disegno di legge di riforma costituzionale approvato dal Consiglio dei ministri, rappresenta il tentativo di superare definitivamente la Carta costituzionale, nata dalla Resistenza e fondata sul lavoro”. Un vero e proprio sovvertimento della Costituzione che anticipa una dittatura della maggioranza che ci farebbe assomigliare più a una democratura.
Qualora il premierato dovesse passare, il ruolo e le funzioni del presidente della Repubblica sarebbero assai ridotti, fino a diventare quasi un “passacarte”, così come il ruolo del Parlamento e gli spazi democratici e partecipativi. Ruolo e funzione del Parlamento sono già oggi assai ridotti, visto l’uso distorto e improprio di decreti legge e voto di fiducia. Con la riforma, che oltre a prevedere l’elezione diretta del premier contempla l’assegnazione del 55% dei seggi alla coalizione che ottiene più voti, il ruolo del Parlamento scompare del tutto.
Tutto sarebbe possibile grazie ai principi che regolano una moderna liberal-democrazia. Comportamenti che servono a sottolineare l’appartenenza a un contesto che lascia ai più forti un grande potere decisionale. Alla fine dei conti, si tratta di atteggiamenti che tendono a generare istituzioni corrotte. E la corruzione arriva al suo culmine quando i mediocri che la praticano non si accorgono più di esserlo.
“Se dal di dentro la stupidità non assomigliasse tanto al talento, al punto da poter essere scambiata con esso, se dall’esterno non potesse apparire come progresso, genio, speranza o miglioramento, nessuno vorrebbe essere stupido e la stupidità non esisterebbe”. Roberto Musil.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik