UN PICCOLO MONDO ALLA DERIVA

Beaumont sur Mer – Sono nato in una cittadina calabrese che da circa 100 anni ha una squadra di calcio che milita nella Promozione girone A. La cittadina in questione è Amantea e si affaccia sul Mare di Ulisse. La squadra, “Amantea 1927” ha un passato di tutto rispetto, ma nell’anno corrente è costretta a giocare le partite in casa dove capita perché il suo Stadio non ha “l’agibilità”. Una bella squadra costretta a elemosinare un campo. Per non parlare del danno economico che questa situazione causerà alla Società sportiva e all’immagine della città!!” Questa notizia mi è stata riferita al telefono dal mio amico Perego che l’ha letta sul “Quotidiano” che ha pubblicato una intervista al Sindaco, che in un linguaggio misterioso, non chiariva il motivo per cui gli Amanteani non potranno recarsi allo stadio e tifare per la propria squadra.

Trovo tutto questo incredibile e disonorevole. Provo vergogna nel sentire queste notizie. La vergogna è una sensazione che tutti dovremmo conoscere bene: quella di volersi sotterrare, di scomparire all’istante. Fino ad arrivare al timore di non potersi più guardare allo specchio perché la propria immagine diventa insopportabile visto che non risponde più alle aspettative (proprie e altrui).

Ci si può perfino vergognare per qualcosa che fa qualcun altro. In spagnolo esiste, unica lingua al mondo, una espressione per dire proprio questo: si parla di verguenza ajena, ovvero vergognarsi al posto di qualcuno.

Non tutti si vergognano nella stessa situazione, anche perché questa emozione dipende inoltre dalla scala di valori: per chi è abituato a superare i limiti di velocità, essere pizzicati dalla polizia può essere una vera seccatura, ma per chi è sempre ligio alla regola e supera i limiti per distrazione, essere colto in fallo può diventare vergognoso. Come pure ci si può vergognare per la propria mediocrità. Avendone coscienza.

 La mediocrità è un sostantivo che indica una posizione intermedia tra superiore e inferiore, ovvero suggerisce uno “stare nel mezzo”, una qualità modesta, non del tutto scarsa ma certo non eccellente; indica insomma uno stato medio tendente al banale, all’incolore, e la mediocrazia è di conseguenza tale stato medio innalzato al rango di autorità.

Una mediocrità che non ha niente a che fare con l’aurea mediocritas cantata ed esaltata dal poeta Orazio, il quale con questa espressione intendeva riferirsi alla capacità di tenersi lontani dagli estremi e dagli eccessi e quindi in definitiva ad un principio di saggezza e ragionevolezza.

La mediocrità a cui si fa riferimento in questo breve scritto è quella di cui parla il sociologo canadese Alain Deneault nel suo recente libro “La mediocratie” nel quale prende di mira il conformismo acritico dominante in tutto il mondo.

Una mediocrità che si accompagna ad un elemento maniacale, di follia, che nel favore della fortuna non appare se non per qualche innocuo segno, ma che alle prime difficoltà comincia a manifestarsi e a crescere fino a travolgere quasi tutto e tutti. D’Annunzio diceva di Marinetti: “è un cretino con qualche lampo di imbecillità”.

Il riferirsi di Deneaut alla stragrande maggioranza della popolazione mondiale a modi e stili standardizzati di pensare e di agire, a parametri di giudizio e a canoni di comportamento definiti e determinati sulla base di ciò che “mediamente” viene ritenuto accettabile e praticabile, e più esattamente sulla base di criteri opportunistici o di convenienza che consigliano di non entrare in rotta di collisione con il vigente ordine economico e sociale, per cui una cultura sempre più uniforme e standardizzata, l’assunzione della “media” o di ciò che vale mediamente come norma o regola predominante.

In alcune persone la mediocrità si accompagna ad un elemento maniacale, di follia, che nel favore della fortuna non appare se non per qualche innocuo segno, ma che alle prime difficoltà comincia a manifestarsi e a crescere fino a travolgerle.

Italo Calvino scriveva di aver incluso la visibilità nel proprio elenco di “valori da salvare” per avvertire del “pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi” come conseguenza della “civiltà dell’immagine”. L’osservazione può ben prestarsi all’ambito qui trattato: la politica si esibisce ogni giorno, distribuisce una quantità immane di parole e di immagini, eppure sentiamo che l’alluvione è buona soprattutto a frastornarci, è fasulla, cioè non è portatrice di significati autentici. 

Gigino A Pellegrini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *