Beaumont sur Mer -In Italia, particolarmente nel Meridione, la prevaricazione e l’assurdità immotivata si manifestano con una definizione che non è quasi mai “kafkiana” ma “fantozziana”. Osservando attentamente, si nota che, nei suoi film, il povero ragioniere viene maltrattato da tutti, compresi i colleghi di pari grado, ma proprio alla fine, prima di vedere scorrere i titoli di coda, gli spettatori, un po’ divertiti e anche scoraggiati, si confrontano finalmente con i veri mandanti, la causa di ogni male: quelle creature mitiche che, dalla cima della piramide sociale, muovono il sole e tutte le altre stelle.
I loro nomi sono scolpiti nella memoria di tutti gli spettatori per il loro carattere iperbolico: il “mega-direttore galattico”, il “mega-direttore arcangelo”. Meglio, però, non farsi ingannare da queste definizioni perché, nonostante le loro cariche “sovrannaturali”, erano figure concrete, reali e tangibili. Così come era concreta la megaditta, la mega amministrazione e la mega autorità. Luoghi, questi, di ogni umiliazione, arrivismo, corruzione, prostrazione, servilismo, ricatto e menzogna.
Quasi sempre nei film fantozziani, la sofferenza del ragioniere frustrato e avvilito scompare nel volto sereno e conciliante del potere. Chi scrive potrebbe anche produrre fiumi di parole inutili. Inutili come gli avvenimenti che sto per raccontare. Ieri mattina, dopo un buon caffè, mi sono avviato verso Sud, lungo la strada che costeggia le acque di Ulisse. Destinazione Coreca e i suoi scogli.
Dopo aver parcheggiato l’auto pensavo, di farmi circa tre km sulla stradina sterrata che corre fra la ferrovia e l’Ulisse. prima di tuffarmi nelle sue acque. Mentre aprivo il cofano della macchina, sono stato attratto da due giovani che indossavano la divisa estiva della Guardia Costiera. Sembrava una scena vista tante altre volte. Non era così. La mia mente, all’improvviso, è tornata a Fantozzi. Chissà perché. Due giovani, senza pancia. Un pensiero, come una stella cadente, ha attraversato i miei stanchi occhi.
In maniera autonoma la mia mente si è diretta alla frammentazione dell’industria rendendo il potere invisibile. Gli anni 70 erano alle spalle da parecchio. Siamo passati da Paolo Villaggio al Villaggio globale. Siamo in pieno post-moderno, reso possibile dalla smaterializzazione e virtualizzazione dei due elementi fondanti del potere: l’informazione e il denaro virtuale.
Il loro trasferimento istantaneo (e planetario) è stato ottenuto svincolando monete e missive dalla loro tangibile esistenza: non è più necessario che siano proprio loro a muoversi. Anche la ricchezza è diventata sedentaria e obesa.
Tutto, ormai, viene gestito dagli impulsi. L’importante è codificarli in partenza e decodificarli in arrivo. Ma torniamo al cofano dell’autovettura “istituzionale” e a ciò che stavano facendo i due Coast Guards sulla spiaggia di Ulisse. Non potendo ascoltare quello che si stavano dicendo, mi sono ritrovato solo ad osservare il loro gesticolare.
Come in un film muto degli inizi dell’altro secolo. Più che un film, per ragioni che non mi è dato sapere, il tutto mi ha richiamato alla mente Franz Kafka, lo scrittore cecoslovacco. Devo aver avuto una nottata non bella, dopo essere stato costretto digitalmente a giustificarmi fino a mezzanotte davanti, si fa per dire, ad una presenza immateriale. Il termine “kafkiano” è un neologismo della lingua italiana che indica una situazione paradossale, e in genere angosciante, che viene accettata come status quo, implicando l’impossibilità di qualunque reazione tanto sul piano pratico quanto su quello psicologico.
Un termine equivalente potrebbe essere perturbante nell’accezione freudiana: qualcosa che è estraneo e familiare ad un tempo, e risuona inquietante proprio per questa sua ineliminabile e spiazzante ambiguità. Comunemente, questa parola è avvolta da un alone di mistero; infatti, nonostante sia nota, spesso non si sa bene quali significati assegnarle.
E’ proprio questa complessità a rendere fosco il concetto. Sono situazioni kafkiane quelle che avviluppano ineluttabilmente nella loro assurdità, suscitando angoscia e senso di impotenza: ci si lamenta della situazione kafkiana di quando l’ufficiale comunale ci richiede dei documenti mancanti che non erano mai stati menzionati prima, reperibili in un oscuro ufficio aperto mezz’ora alla settimana previo appuntamento da prendere con sei mesi d’anticipo.
A volte il giornalismo nazionale racconta la vicenda kafkiana dell’imprenditore onesto tartassato dalla mafia e dal fisco; l’emigrata, ingannata, si ritrova in una tragica situazione kafkiana, in balia di iene che la costringono a prostituirsi. La scena mette bene in risalto il funzionamento dell’assurdo kafkiano, creando un contrasto che sembra irragionevole ma che in realtà rivela un aspetto profondo, sconvolgendo e spiazzando chi osserva.
Solo allora mi resi conto che l’incubo che aveva accompagnato tutta la mia agitatissima notte, non era ancora finito. Richiamava alla mente un episodio di qualche anno fa, quando una autoambulanza cercava inutilmente di soccorrere un infartuato che si trovava imprigionato fra due cancelli che sbarravano l’accesso alla strada comunale che gli faceva da letto.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik