INGRID ED ASTRID

Quell’anno decidemmo di fare una vacanza di lusso.

Partimmo in agosto, io e il mio amico Sandro, per una destinazione che avevamo sempre sognato ma mai avremmo pensato di realizzarla: Stoccolma.

Per noi, a quei tempi, era come se andassimo  sulla luna!

Stoccolma la pensavamo piena di ragazze bionde con gli occhi azzurri, disponibili a fare amicizia con ragazzi italiani con capelli neri e occhi marroni.

Credevamo anche al fascino del latin lover  (poveri illusi)  – che ognuno di noi aveva ricevuto dalla mamma – e al quale nessuna ragazza straniera avrebbe potuto resistere

 Il desiderio di raggiungere quella meta era ancor più ambito perché  eravamo abituati alla severa ritrosia sentimentale delle nostre amiche italiane, che nulla concedevano.

Ma l’azzardo di tutta la gita era costituito dal fatto che partivamo in Vespa, senza armi e con scarsi bagagli. Oggettivamente restava pochissimo spazio per due ragazzi ventenni alti un metro e ottanta!

Ma nulla ci poteva fermare, oramai. Avremmo raggiunto la meta agognata a qualsiasi costo.

 Stoccolma era veramente lontana! Ci alternavamo alla guida del mezzo. Chi non guidava si addormentava e, vi assicuro, non ho mai dormito tanto e così bene.

Le nostre finanze erano talmente scarse che bastavano solo per la benzina e due panini al giorno. Pernottavamo negli ostelli della Gioventù ( non so se esistono ancora ) che a quei tempi costavano cento lire a notte.

Facemmo tappa a Genova, Francoforte, Amburgo e quindi giungemmo a Stoccolma, l’ Eldorado agognato.

Frequentammo la zona dell’Università piena di ragazze e ragazzi, anche se eravamo in agosto. E lì facemmo amicizia con due bellissime bionde, Ingrid e Astrid, (un vero scioglilingua), le quali  non avevano gli occhi azzurri, ma celesti.

Ce ne facemmo rapidamente una ragione.

Io puntai immediatamente su Ingrid, la quale apprezzò senza indugi le mie avances, mentre  Sandro scelse Astrid, ma non ne rimase deluso. Passammo dei giorni felici perché ci condussero in visita alla città e ogni sera, immancabilmente, ci portavano  a cena a casa dei genitori – io da Ingrid e Sandro da Astrid – i quali, a fine pasto, si ritiravano nella propria camera  lasciandoci,  con la massima indifferenza, una confezione di contraccettivi, e completamente liberi di fare i nostri comodi.

A noi – abituati alle nostre ataviche ristrettezze amorose – sembrava un mondo irreale che esisteva solo nelle nostre fantasie.

Mi sentivo innamorato perso e sognavo di sposare Ingrid al più presto possibile. L’avrei condotta a Roma appena terminata l’Università, presentata agli amici e a i miei genitori, e impalmata nella più bella Chiesa della capitale.

Delle mie intenzioni matrimoniali non ne avevo mai parlato a Ingrid ma ero sicuro che sarebbe stata contentissima della proposta perché vedevo quanto mi amava e come era felice quando stava con me e in quale modo appassionato rispondeva alle mie sollecitazioni sessuali quando l’abbracciavo .

Restammo lì sei giorni. L’ultimo giorno mi ero ripromesso di parlare  durante la cena, alla presenza dei suoi genitori, del mio progetto di vita perché l’amavo ogni giorno di più. Ma lei mi disse: “No Vit, stasera non ceni a casa mia ma a casa di Astrid”. “Perché, hai da fare con i tuoi genitori?” risposi. “No” replicò, “ Stasera viene Sandro. Lui non è mai stato con me.”

“Ma io voglio stare con te!” replicai. “Non se ne parla” mi rispose in  modo categorico che non ammetteva repliche.

Trasecolai! Ma che dice questa? Dopo tanto amore e tanta passione, mi getta via come una lattina di coca cola vuota?

La pregai, la supplicai, le dissi che volevo costruire il mio futuro con lei, che era il mio amore e che non avrei amato nessun altra per tutta la vita. Ma rimase irremovibile.

Aggiunse che aveva capito tutto di me, che ne era lusingata ma che non aveva alcuna intenzione di impegnarsi a vent’anni per tutta la vita. Per prendere decisioni vincolanti aveva tanto, ma tanto tempo ancora.

Mi arresi. E con il cuore infranto cenai a casa di Astrid la quale, pur consolandomi con affetto e comprensione, non riuscì  assolutamente a farmi superare la delusione che avevo provato al rifiuto di Ingrid.

Dopo la cena, e dopo il consueto rituale del dopo cena, mentre tornavo al mio ostello, ripetevo tra me e me  quanto fosse fondato quel famoso proverbio nostrano “Mogli e buoi dei paesi tuoi”, ma ci misi circa un secolo per riprendermi da quella incancellabile ferita che mi aveva inferto Ingrid e che resta segnata ancora sulla mia pelle, mentre ripetevo spesso, anche ad alta voce: “Queste svedesi sono proprio..svedesi!”

Sic vita est!

Vit

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