MENTE RIZOMATICA

Beaumont sur Mer- Cosa verrebbe fuori se si volesse cercare di analizzare la complessa relazione tra due diversi tipi di atteggiamenti quello socio-temporale come “la vita di tutti i giorni” e il momento dell’incontro con l’arte? L’eterna condanna dei viventi non è qualcosa che sarà; è quello che è già qui, l’inferno che viviamo tutti i giorni, che formiamo vivendo insieme nel sociale.

Da un mio punto di vista, il valore di un’opera d’arte come un dipinto, o il piacere che se ne trae – nel suo originale o come riproduzione – è soprattutto una questione individuale. Allo stesso tempo gli esperti possono aumentare quel piacere, ad esempio spiegando la tecnica e la metodologia della composizione di un dipinto. Ancora una volta, questa non è competenza esclusiva di un marxista più di un commento sulle capacità tecniche incorporate nella progettazione o nella fabbricazione di una lavatrice.

Potrebbero essere due i modi per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte. Il secondo è più rischioso ed esige attenzione e apprendimento continuo. Per esempio, il concetto di Italo Calvino dello “inferno”, deriva dal suo immaginare la crisi della modernità come una sorta di vaso di Pandora.

Un filosofo olandese, Erik Rietveld, ha lanciato  una sfida provocatoria: “I filosofi potrebbero unire le forze con gli artisti visivi per indagare non verbalmente su come l’essere umano potrebbe vivere diversamente e forse meglio, partendo all’antropologia.

 L’antropologo si comporta da filosofo nelle domande che pone – sulla vita e la morte, i materiali e il significato – traendo ispirazione non solo dalle persone di cui condivide la vita, ma da tutto ciò che lo circonda, dagli animali e piante a manufatti ed edifici, monti e mari, terra e cielo. Così, il mondo stesso diventa un luogo di studio, una biblioteca, che viene letta per quello che ha da dirci. Più o meno lo stesso si potrebbe dire degli artisti. Anche loro sono spinti dalla domanda: ‘come potremmo vivere diversamente e meglio’?

I tempi in cui viviamo, in cui l’inferno fiorisce, suggeriscono che se vogliamo espandere i nostri orizzonti, ” prenderci cura del mondo,” imparare gli uni dagli altri, e cominciare a ridefinire nozioni di evoluzione, dobbiamo scegliere di iniziare tale lavoro da una via di mezzo, un punto senza origini, cioè come direbbe Umberto Eco: uno stato “rizomatico” del “divenire”.

Le condizioni economiche e sociali, e in particolare le relazioni di classe che ne derivano, influenzano ogni aspetto della vita di un individuo, dalle credenze religiose ai sistemi legali ai quadri culturali. Il ruolo dell’arte non è solo quello di rappresentare tali condizioni in modo veritiero, ma anche di cercare di migliorarle.

In generale, si potrebbe pensare ad una esperienza come un insieme di sensibilità e possibilità che producono un soggetto cosciente, sulla scia della globalizzazione e identità politica. Questo tipo di esperienza sembrava essere riservata agli oppressi ed emarginati, proponendo una responsabilità di coloro che non appartenevano a tale esperienza per riconoscere e convalidarla, con un atto di “benevolenza”.

Un atteggiamento, questo, da protettore di animali domestici, che porterebbe verso certi aspetti più semplici e tuttavia profondi dell’umanità, verso quei fili comuni che collegano ogni soggettività nel mondo in generale, in breve, della quotidianità. Come potrebbe funzionare un rivedere la nozione di “esperienza” nel nostro attuale clima culturale al fine di presentare noi stessi gli uni agli altri e creare nuove strade di dialogo in modo di affermare la differenza e respingere l’omogeneità?

Se si insiste sul fatto che non vi è alcun riferimento esterno da cui partire per guardare consapevolmente e giudicare, allora lo spazio di tutti i giorni, la routine, potrebbe agire come una lente attraverso la quale si potrebbe considerare una tale posizione e filtrare le nostre differenze e i tratti comuni.

Il senso di reciprocità può essere condiviso tra lo spettatore e il creatore di un’opera d’arte in termini di esperienza. Questo senso si rivela durante l’incontro con l’opera d’arte quando agisce da fulcro tra due interpretazioni dello stesso evento. i due aspetti della sua composizione e la sua ricezione come collegato con l’esperienza. Se uno viene rimosso dalla banalità del contesto quotidiano attraverso l’incontro con l’opera d’arte, si potrebbe creare un tipo di “vivere attraverso” ciò che è altrimenti trascurato o ignorato.

L’opera d’arte in questo senso avrebbe il compito di creare un forum in cui esperienze diverse possono essere considerate. Dando così all’artista la possibilità di appropriarsi e manipolare l’oggetto comune. La sfida, quindi, sarebbe quella di pensare al di là di queste limitazioni previste al fine di individuare uno spazio di incertezza nella vita quotidiana, che consente una trasformazione socio-politica.

L’incontro artistico si presenterebbe come punto di partenza praticabile per tale considerazione. L’incontro con l’opera d’arte coinvolge inevitabilmente fisicità e precedenti esperienze del pubblico, privo di qualsiasi strumento analitico. Pertanto, la fenomenologia e il suo rapporto con l’esperienza estetica dovrebbero essere affrontati al fine di stabilire una base da cui partire per ripensare l’esperienza dell’arte nella vita di tutti i giorni.

Pertanto, un tale incontro potrebbe essere un buon trampolino di lancio nel ribaltare un sistema di pensiero ormai giunto al suo quasi esaurimento.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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