VA’ TE COCCA, SIENTE ‘A ME!

Beaumont sur Mer

Si pensava che la surreale Calabria schiava della malavita, delle burocrazie, delle intimidazioni, delle falsità e della corruzione, che emergono dalle opere di Franz Kafka fossero solo racchiuse fra le pagine dei suoi romanzi.

Il grande Scrittore conosceva poco l’Italia e in particolare, molto poco il Meridione. Il libro che ho recentemente riletto e che mi ha fornito molteplici tematiche e riflessioni, è stato “Il Processo”, il capolavoro dello Scrittore praghese che più di ogni altro ha dato voce ai dubbi, alle angosce, alle inquietudini dell’uomo moderno. L’angoscia era per l’Autore, il frutto della paura del nulla che ogni uomo nutre nel proprio animo, della mancanza di qualsiasi forma di libertà individuale.

Particolarmente efficace è una sua frase: ‘se sono condannato, sono non solo condannato a morire, ma anche a difendermi fino alla morte’. L’altro giorno mi è stata notificata dai Carabinieri una specie di avviso di garanzia perché a seguito di una minaccia di morte da me subita e denunciata l’estate scorsa, mi si accusa di aver violato la proprietà privata di chi mi ha minacciato di morte insieme a tutta la sua famiglia e ad un suo bravo che, all’uscita dall’uscio di casa di un mio caro amico in quel di Coreca, hanno pensato bene di minacciarmi semplicemente per aver denunciato un’appropriazione indebita di un Bene demaniale.

Nel ‘Processo’ di Kafka, l’assurda avventura, si trasforma in un incubo, nel quale viene definitivamente annientata la dignità di uomo, che imperterrito è costretto a revisionare ogni scelta di vita proiettandosi in un futuro tenebroso, dove diviene sempre più arduo il tentativo di far luce al proprio infelice destino. Eppure nonostante i molteplici tentativi, nessuno riuscirà mai a spiegargli il motivo del processo che un’autorità giudiziaria, incalzante ed enigmatica, gli ha intentato.

Purtroppo ogni tentativo di difesa si rivelò invano al suo desiderio di salvezza e il protagonista avverte la misura della propria reale insufficienza e percepisce il proprio isolamento. Questo anche grazie ad una organizzazione giudiziaria che, nel Romanzo, si rivela un gigantesco, impenetrabile muro di gomma, mentre la città assomiglia inspiegabilmente, sempre di più ad un immenso tribunale, in cui tutti sono misteriosamente a conoscenza del processo.

Così dopo mille avversità che il destino gli ha riservato, abbandonato da chiunque, il giovane bancario, protagonista del ‘Processo’, ferito nel proprio animo, si rassegna ad accettare passivamente una condanna che lui stesso, senza saperne il motivo, ritiene ‘irrevocabile’.

In questo sta la differenza fra me e il giovane bancario del ‘Processo’. Io, non ho nessuna intenzione di rassegnarmi perché la Verità è dalla mia parte e la Giustizia Italiana, agevolmente, dovrebbe fare il proprio dovere nel ricercare quella Verità.

Per me che scrivo, almeno in questo articolo, la legge, il diritto, coincide con un’alternanza di poteri che si susseguono l’uno all’altro attraverso l’esercizio della violenza. Volendo situare in questa dinamica i processi e le congiure, risulta che ogni trapasso da uno stato di diritto ad un altro può essere visto contemporaneamente come entrambi: dal punto di vista della legge che decade esso è una congiura ai miei danni.

Può sembrare che queste mie riflessioni siano estremistiche: lo stato moderno ha faticosamente avviato processi democratici in cui lo scontro fra le parti si dovrebbe risolvere in un dialogo, nella capacità di riflettere. Sto cercando di dimostrare che, dietro l’apparenza, il sistema di diritto degli stati moderni (in tutti i suoi aspetti, dallo sciopero al parlamentarismo) risponde sempre alla logica della violenza.

Poiché esso conferisce ad ogni parte il diritto di ricorrere anche a chi, palesemente, mente sapendo di mentire. Se così dovesse essere, che tramonti, si spenga pure l’Occidente insipido, ipocrita; vigliacco e guerrafondaio, che, rinnegando la propria identità, sputerebbe sulla linearità della propria storia, calpestando la purezza delle proprie culture genitrici.

Che tramonti pure, questo Occidente, così da esser pronti a generarne un altro, velocemente, senza sprecare neanche una vita, un’altra ancora. Quanto segue, forse, è il più grande augurio da fare a questa marmaglia di coinquilini ai lavori forzati a cui siamo ridotti ad essere oggi:

‘Questo è il senso di ogni tramonto nella storia, il senso del compimento interno ed esterno, dell’esaurimento che attende ogni civiltà vivente. Di tali tramonti, quello dai tratti più distinti, il ‘tramonto del mondo antico’, lo abbiamo dinanzi agli occhi, mentre già oggi cominciamo a sentire in noi e intorno a noi i primi sintomi di un fenomeno del tutto simile quanto a decorso e a durata, il quale si manifesterà nei primi secoli del prossimo millennio, il ‘tramonto dell’Occidente’

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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