VENERDI’ PRIMA DI PASQUA

Beaumont sur Mer – All’improvviso era primavera, la neve si stava sciogliendo sulla catena del Pollino e i miei sentimenti scorrevano come fiumi appena nati. Ho chiesto a me stesso: “Che regalo mi farai oggi? “Questo”, disse, e ha buttato ai miei piedi delle castagne, mentre mi sedevo su un ramo di ulivo dell’amico Giuseppe, dondolando le mie  gambe.  Sul suolo c’erano pellicce, tende bianche e vaporose alle finestre e specchi. Cosa potrebbe significare? Non ho avuto il tempo di chiedermelo.

 Una donna del passato, con capelli cenere, è venuta verso di me vestendo un sorprendente abito di raso nero che le lasciava le spalle scoperte ed era tenuto fermo da un filo di seta blu. Dei tuoni hanno interrotto il mio sogno. Era arrivato il venerdì delle “Varette” (piccole statue che fanno parte della processione tradizionale cattolica)

Da ragazzino ho sempre assistito alla processione del venerdì prima di Pasqua. I ricordi riaffiorano e anche alcune domande che mi ponevo. Non ho mai capito, per esempio, l’assenza di Giuseppe al funerale del figlio Gesù. Eppure un figlio rappresentava e rappresenta la carne dei genitori, il prolungamento della loro carne e in qualche modo rappresentava e rappresenta il prolungamento della loro vita.

La loro vita e la loro carne allora come adesso è lì, incarnata al di fuori di loro, in quel figlio che però sarà senza vita. La madre, Maria, affranta, sono certo, sarà sempre lì. Dietro alla salma del proprio figlio.

Durante gli anni stupendi della Magna Grecia, la preparazione al funerale era riservata alle donne della famiglia, che lavavano e vestivano il defunto per l’esposizione (prothesis) e il compianto; questa cerimonia si svolgeva generalmente in privato, con il corpo disteso su una kline o su un letto ricoperto di tappeti, ma in alcune occasioni poteva essere pubblica.

La bocca del defunto durante la cerimonia era coperta da una benda, talvolta di foglia d’oro, che riproduceva la forma delle labbra.  . Fuori della casa colpita da un lutto veniva posto un vaso pieno d’acqua per la purificazione dei convenuti e successivamente dell’abitazione e dei familiari.

Col passare degli anni mi sono reso conto che per una madre perdere il proprio figlio deve essere la tragedia più grande che possa colpire la vita di una donna che lo ha partorito. Un dolore dal quale non ci si riprende mai, una ferita sempre aperta. Si vedrà  di nuovo la statua di quella madre piangere per quel figlio e per ciò che avrebbe potuto vivere e per il suo futuro che non ci sarà.

Stamattina, a distanza di anni, non mi ritroverò sullo stesso muretto delle Scuole Elementari del mio paese natio mentre da lontano arriveranno quelle voci che annunceranno l’arrivo delle immutate statue portate a spalla e che rappresentano i protagonisti del sacrificio di un giovane di 33 anni, dei suoi aguzzini e dell’inconsolabile madre dal volto coperto dal velo accompagnata dalle voci e pianti di tantissime donne.

Lei apparirà, come sempre, in quel suo vestito nero dietro al corpo senza vita di quel figlio. E, come allora, la percezione del cordoglio della collettività non sarà la stessa per il padre “assente”. L’attenzione tenderà a concentrarsi sullo straziante dolore della madre e sul corpo di quel figlio.

Gigino Adriano Pellegrini & G el Tarik

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *