LA FIABA.

C’era una volta…

Così iniziano tutte le fiabe.

Il narratore, con linguaggio volutamente oscuro e misterioso, attira dapprima l’attenzione dei bambini, quindi quella degli adulti, inizialmente scettici ed increduli ma poi catturati anch’essi dal racconto.

Le fiabe sono  un compendio di squarci di passato, di storie, di sentimenti e di desideri che le rende tra loro tutte diverse ed uguali allo stesso tempo.

Iniziano immancabilmente con un avvenimento drammatico che getta nello sconcerto gli uditori, i quali restano in attesa dell’ immancabile evento risolutore in grado di sbrogliare l’intricata matassa determinatasi con l’intervento dell’uomo nero apparso all’inizio.

Tutti gli ascoltatori sperano in una rapida e audace soluzione del caso, come quella che in un secondo trovò  Alessandro il Grande quando – ritenendo impossibile lo scioglimento con le dita del nodo di Gordio –  lo tranciò con la sua spada.

L’eroe protagonista è travolto da incredibili eventi.

 Ma nulla lo ferma, nulla lo fa indietreggiare.

Si muove con naturalezza nell’impossibile, per mezzo di azioni improbabili, alla ricerca del male invisibile che vorrebbe sopraffarlo ed uccidere. Ma niente può fermare il nostro eroe.

Anche quando è braccato e senza speranza, quando ha esaurito i tre desideri che potevano salvarlo, quando il crudele stregone sta per scagliargli contro il genio del male portatore di morte, ecco che arriva in suo aiuto la fata delle nevi sul proprio cocchio trascinato da cavalli di ghiaccio che con i suoi poteri spegne il sole, acceca lo stregone, uccide il genio del male e trae in salvo il nostro eroe.

Attraverso le  sue esperienze  l’ascoltatore – a bocca aperta e  occhi socchiusi – intuisce che la maturità della mente, del cuore e dello spirito si raggiunge attraverso una serie di elementi disseminati a caso nel corso della narrazione, il cui esatto significato sarà compreso solo alla fine, quando l’eroe avrà superato tutte le prove e le sofferenze che la fiaba gli riserva.

Soltanto alla fine  l’uditorio capirà l’importanza del sassolino impastato per errore nella torta, della spina tolta dalla zampa del leone, dell’elemosina fatta alla vecchia mendicante.

Soltanto alla fine si realizzerà la promessa di lunga vita e di eterna felicità che, peraltro, lascia freddi e delusi gli ascoltatori perché il sogno è finito e bisogna riaffrontare le banalità dell’ordinario.

Il sogno –infatti – è sempre troncato proprio nel momento in cui vengono meno i pericoli, le paure, gli orrori e dopo che il nostro eroe ha acquisito – dopo tante sofferenze – il diritto al premio.

Le bocche si richiudono, gli occhi si aprono, il magico campo magnetico che si era creato tra affabulatore e ascoltatori si dissolve.

Potrà essere ricostituito soltanto da una nuova fiaba, le cui vicende faranno di nuovo pendere i sognatori dalle labbra del favolista.

Tutti noi, in varie occasioni siamo stati favolisti.

Tutti abbiamo vestito i panni del narratore di fiabe e goduto dalla magica sensazione di raccontare, aggiungendo alla fiaba originale particolari dettati dalla nostra fantasia che, con il passare del tempo, sono diventati anch’essi originali.

Ma tutti, almeno una volta, siamo stati anche protagonisti.

Tutti abbiamo avuto una nostra fiaba personale, unica, originalissima, irripetibile: la giovinezza.

Ed ogni volta che ci accingiamo a raccontarla riusciamo a stento a bloccare il moto di commozione che ci attanaglia perché – come tutte le fiabe – anch’essa inizia con: “ C’era una volta…”.

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