Punture di spillo 261

L’AGENDA E IL… TRADUTTORE DI MELONI

Pochi giorni dopo essersi installata con tutta la sua corte a Palazzo Chigi, la Premier si è presentata in TV con una novità rispetto ai suoi predecessori: l’Agenda di Giorgia .

Un modo per “condividere” con il Paese la sua attività di Presidente del Consiglio senza doversi sottomettere allo stillicidio  dei soliti giornalisti. Ma anche una “trovata”,  per “glissare” – in assenza di domande – su temi scomodi o per lei ostici come, per esempio, quelli economici sui quali non sembra molto ferrata.

Su un argomento politico puoi “impapocchiare” la qualunque – e Giorgia sulla breccia da una vita conosce bene i “trucchi” della comunicazione – in economia invece non puoi “straparlare” ma devi essere preparato e ben documentato. Altrimenti…. rischi di fare la figura del piffero

Ma, con l’Agenda Giorgia, c’è un’altra novità: quello che definirei il “Traduttore Meloni“, sulla base del quale non tutto quello che ci racconta la Presidente corrisponde poi alla realtà dei fatti.

Siamo tutti soddisfatti perché finalmente il problema dell’immigrazione, come il Presidente trionfante ci ha annunciato, è  diventato centrale anche per i nostri partner europei. Ma poi scopriamo che nella “due giorni” di  Bruxelles se n’è parlato solo alla fine, e  per una mezz’oretta, con un comunicato finale che gli dedica appena poche righe.

Sapevamo con Draghi – in virtù del suo personale prestigio – di essere tornati protagonisti in Europa e nel mondo e temevamo con le sue dimissioni di non esserlo più. Ma, a sentire Meloni, lo siamo ancora.        

Poi però leggiamo i giornali nazionali, ascoltiamo i telegiornali, e scopriamo che di immigrazione l’Europa tornerà ad occuparsi solo a giugno, e non è  detto che le cose andranno come noi speriamo, visto che degli sbarchi sulle nostre coste non gliene frega a nessuno: Né ai paesi del nord né a quelli di Visegrad, “alleati” di Fratelli d’Italia.

Disco rosso quindi, per ora, sugli immigrati, ma anche sulla richiesta italiana di deroghe ai motori green. 

La Premier ha poi enfatizzato la ripresa  di un dialogo con Macron ma, alla prima occasione, la Francia ci ha rifilato uno schiaffone difficile da digerire: niente estradizione per dieci terroristi italiani, autori di stragi e omicidi, che da anni Parigi ospita e protegge. 

È bene chiarire subito che la decisione è dei giudici e che la politica, sulla base della distinzioni dei poteri, nulla avrebbe potuto fare. Ma offendono le motivazioni della Suprema Corte, e c’è da chiedersi se – Premier ancora Draghi – questa sarebbe stata ugualmente la sentenza.

Ma questa è la situazione. A Palazzo Chigi abbiamo Meloni con la sua Agenda e il suo Traduttore; poi ci sono Salvini impegnato a “difendere” un Questurino che a tutti i costi ha voluto ministro, e  un certo Tajani, in abiti sempre troppo attillati e con l’eterna aria di chi, anche questa volta, è riuscito a sfangarla.

 Certo, non il massimo per una Corte chiamata a mettere in discussione una volta per tutte la “dottrina Mitterand”.

PdA

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