LADRI DI POLLI

Beaumont sur Mer – In un audace breve testo di memorie, accompagnerò i lettori in un viaggio sfrenato attraverso i bassifondi dell’animo di alcuni ladruncoli, falsari e mentitori di una cittadina calabrese, bagnata dal Mare di Ulisse. “Che importanza ha quale strada si sceglie per giungere al Vero? Quel che conta sapere è che non si arriverà mai a scoprirlo. Indro Montanelli.” “Il ladro conosce il ladro e il lupo il lupo.”, direbbe il filosofo greco Aristotele.

Nella Divina Commedia, i ladri sono i dannati della VII Bolgia dell’VIII Cerchio, la cui pena è mostrata da Dante nei Canti XXIV:

“Le braccia aperse, dopo alcun consiglio
eletto seco riguardando prima
ben la ruina, e diedemi di piglio…
…e vidivi entro terribile stipa
di serpenti, e di sì diversa mena
che la memoria il sangue ancor mi scipa…
…Vita bestial mi piacque e non umana,
sì come a mul ch’io fui; son Vanni Fucci
bestia, e Pistoia mi fu degna tana”…

e XXV dell’Inferno (essi corrono nudi in mezzo a serpenti di ogni tipo che legano loro le mani dietro la schiena, per poi subire delle mostruose trasformazioni).

Lo mio maestro disse: “Questi è Caco,
che, sotto ‘l sasso di monte Aventino,
di sangue fece spesse volte laco… “
Poi s’appiccar, come di calda cera
fossero stati, e mischiar lor colore,
né l’un né l’altro già parea qual era…
Taccia Lucano omai, là dove tocca
del misero Sabello e di Nasidio,
e attenda a udir quel ch’or si scocca…

Virgilio, che accompagna Dante, osserva con attenzione la rovina, poi apre le braccia e sorregge Dante aiutandolo nella salita, dandogli preziose indicazioni su come proseguire.

Essi scendono dunque dalla testata del ponte, dove questa si congiunge con l’ottavo argine (“ottava ripa”), e Dante vede uno scenario raccapricciante che, a differenza della dolente staticità del precedente, è dominato da un frenetico movimento, causato dalla “terribile stipa” di serpenti (in realtà si scopre presto che sono piuttosto rettili vari), di diversa specie (“diversa mena”), la cui memoria guasta (“scipa”) ancora il sangue a Dante (come si vedrà nel canto successivo, queste stesse serpi che l’hanno inorridito diverranno per lui “serpi amiche”).

Con enormi sforzi i due poeti raggiungono la sommità dell’argine e Dante è senza respiro, al punto che si siede appena arrivato. Virgilio lo rimprovera dicendogli che non si raggiunge la fama stando seduto o sotto le coperte, e senza fama la vita di un uomo è destinata a passare come fumo nell’aria e schiuma nell’acqua.

Tra i rettili corrono “genti nude e spaventate“, che non hanno speranza di trovare né un nascondiglio (“pertugio”) né l’elitropia, pietra cui un tempo si attribuiva il potere di rendere invisibile chi la portava addosso. Essi hanno le mani legate dietro alla schiena dai serpenti, che poi passavano la coda e il capo lungo le reni dei dannati e le annodavano davanti cingendo loro il ventre (“con serpi le man dietro avean legate; / quelle ficcavan per le ren la coda / e ‘l capo, ed eran dinanzi aggroppate.”

Poco più avanti Dante dirà che si tratta dei ladri, che, a differenza dei predoni puniti nel primo girone del VII cerchio nel sangue bollente del Flegetonte non sono violenti, ma hanno depredato gli altri con l’inganno e l’astuzia, colpa ben più grave di quella dei rapinatori secondo la logica dell’inferno dantesco, che agli strati più bassi fa corrispondere i peccati più gravi.

Rimane il fatto che è difficile stabilire se Dante. intendesse dare valori diversi a ladro e furto e ladroneccio nel particolare caso della settima bolgia. Ciò che rimane indiscutibile è che lo stesso, una volta affermata la maggior gravità del furto rispetto alla rapina e una volta, quindi, distribuiti i rapinatori nel primo girone del settimo e i ladri nella settima bolgia dell’ottavo cerchio, non ci dà ulteriori, chiare distinzioni all’interno del vizio del furto. Bisogna prestare molta attenzione all’altruismo. Ha come base l’inganno, radice del male!

Gigino A Pellegrini & G el tarik  

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