Dopo l’esilio.

C’è sempre una prima volta e posso dire che questa è, per me, la prima volta che amo, coscientemente, la mia Regione. A dire la verità non sono mai stato un campanilista, ho sempre pensato di voler andar via, perché ne avevo la necessità, e penso di non essermi sbagliato. Il mio andar via dalla terra bagnata dal Mare di Ulisse, mi ha permesso di assumere un punto di vista diverso. Amare significa anche osservare, facendo delle cose e cercare di contribuire in prima persona al benessere della comunità.

Da quando son tornato, dopo anni di nomadismo, ho notato che i Calabresi che comandano non sono persone normali, ma fattucchieri! Incantatori costretti a nascondere la loro natura e i loro poteri per rispettare le leggi dei Custodi, ai quali devono obbedienza.

Le Leggi che gli altri miei conterranei prima o poi, vorranno infrangere e così smentire clamorosamente quelle persone che mi accusano di produrre solo “fiumi di parole” attraverso la mia poca “spontaneità”. Scrivo auspicando che queste parole non diano ragione ai qualunquisti che ho appena citato. Perché una popolazione spaventata è una popolazione mite e i Calabresi erano e sono sempre più irrequieti.

I figli di questa terra leggendaria avvertono di essere esclusi in qualche modo dalla giostra. Per salire sulla giostra del consumo frenetico, servono soldi e per avere soldi bisogna lavorare, cioè vendersi al miglior offerente, se si trova. Il sistema dominante ha fatto del lavoro il suo principale valore. Lo usa come ricatto per dominare e come strumento di guadagno.

 Le persone devono lavorare sempre di più per pagare a credito la loro miserabile vita. Si sfiancano sul lavoro, perdono la maggior parte della loro forza vitale e subiscono le peggiori umiliazioni. Dedicano tutta la vita ad un’attività faticosa e noiosa per il profitto di pochi. L’invenzione della disoccupazione moderna è sempre lì, in agguato, per spaventarli e costringerli a ringraziare la generosità dei potenti.

Ciò che mi auguro è un’azione rivoltosa contro questo sistema di abusi e sottomissioni. un’azione di ribellione contro i poteri forti e le loro sanguisughe che per secoli hanno operato sulle vite dei Calabresi.

Non sto cercando di dare un’interpretazione anarchica del pensiero rivoluzionario che ha caratterizzato la mia generazione. Né scrivere “fiumi di parole inutili” come qualche benpensante ama descrivere ciò che faccio. I Calabresi hanno il diritto di sapere non solo ciò che i rappresentanti del popolo hanno in testa, ma anche quello che mettono in tasca.

Chiaramente scrivere non è produrre qualcosa di materialmente valido ma forse qualcosa di culturalmente utile a stimolare gli altri a “pensare” e ad “agire”.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *