Una cosa è chiara. Il dibattito di questi giorni sulla fiducia al governo ha evidenziato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che con “questo” PD – e con la stampella di Matteo Renzi – Salvini e Meloni governeranno per tutta la legislatura e per l’altra ancora.
Il problema del partito di Enrico Letta non è nell’assenza di strategia politica – che pure esiste – ma nella modestia dei suoi uomini e delle sue donne. Sentirli parlare è disarmante, non hanno idee nuove, sono confusi, affatto in grado di articolare un concetto chiaro. Le loro battaglie sono solo nominalistiche e prive di sostanza. Hanno provato a rinnovarsi mettendo due donne alle vicesegreterie e altre due alla guida dei gruppi parlamentari.
Ma se questo è il patrimonio femminile per il rilancio del partito, Dio ce ne scampi e liberi! Non che gli uomini siano migliori ma le due capogruppo fanno pena, così come le deputate e senatrici intervenute nella discussione. Su tutte hanno “brillato” per sprovvedutezza la Serracchiani (che critica la Meloni nonostante abbia scalato un partito maschilista e sia diventata la prima donna premier in Italia) e la Boldrini (che si è fatta “ironizzare” sulla sovranità alimentare). Tutte e due messe in riga da una presidente del consiglio agguerrita e determinata che ha replicato loro per le rime.
Come dimenticare del resto il “manualetto” fatto scrivere proprio da Debora Serracchiani, quando era presidente di Regione, sul “corretto” comportamento di un consigliere regionale, a cominciare dal dover sempre indossare calzini lunghi! E come sottacere sulla proposta dell’allora Presidente della Camera sulla cancellazione della parola “Dux” dall’obelisco del Foro italico a Roma.
E non è che siano meglio le Madia, le Picierno, le Morani o le Moretti, per fare alcuni nomi.
.Altri anni con le Nilde Iotti, le Anna Finocchiaro, le Tina Anselmi o anche le Rosy Bindi. Erano poche, perché la politica in quegli anni veniva declinata quasi esclusivamente al maschile, ma quanta qualità rispetto alla “squadra” femminile di oggi, certamente più numerosa ma inconsistente.
E se poi guardiamo agli uomini… cadono le braccia: da Francescini a Guerini, ad Orlando, a Zingaretti, allo stesso Gualtieri. Tutti impegnati solo a coltivarsi l’orticello sul quale far crescere il loro potere.
Ecco perché il rilancio del PD dovrà partire da altri uomini e da altre donne, e solo dopo mettere a fuoco in un congresso “vero” la strategia politica per tornare ad avere nuova presa su di un elettorato deluso e in disarmo.
Non sarà impresa facile, ma non sarà certo “questo” PD a creare problemi alla Destra di Meloni e Salvini anche perché – e l’elezione di Ignazio Benito La Russa alla presidenza del Senato lo dimostra – c’è una “stampella” da non sottovalutare: Matteo Renzi, di fatto senza partito e costretto, per ora, ad “emigrare” tra le braccia di Carlo Calenda.
Come è avvenuto quando ha perso la segreteria del Nazareno e, dopo, con la “caduta” del Conte 2, il “Gigione” fiorentino non è personaggio da starsene in panchina. E le possibili, inevitabili fibrillazioni governative gli offriranno l’occasione per tornare al centro della scena, offrendosi come stampella, in attesa di “papparsi” i resti di Forza Italia e qualche “scontento” della Lega.
Quindi, o il PD cambia o ci terremo a lungo Giorgia, i condoni fiscali, i blocchi navali e tutto quello che un governo di destra può mettere in cantiere per accontentare il proprio elettorato.
PdA