VADEMECUM PER IL KONDUCATOR

Beaumont sur Mer
Questo è l’ultimo appello al Konducator di far eseguire una inappellabile sentenza, ormai vecchia di un anno, del Consiglio di Stato, riguardante l’appropriazione indebita di un’area demaniale in località Coreca.

La storia della Legge codificata ha avuto inizio in Mesopotamia secoli e secoli prima del regno di Hammurabi. I primi codici erano apparsi infatti sul finire del III millennio a.C., in seguito alla nascita della società urbana e della scrittura.
Nell’era contemporanea, Le Poor Laws erano un sistema assistenziale rivolto alle fasce più povere della popolazione, attuato in quello che è l’attuale Regno Unito. Nelle sue forme originarie a partire dal  tardo Medioevo, prima di ricevere una definitiva codificazione sul finire del XVI secolo. Tale strumento giuridico rimase in funzione sino alla fine della seconda guerra mondiale, quando dovettero essere implementate forme alternative di  stato sociale.
L’avvio dell’iter legislativo delle Poor Laws può essere datato a partire dal 1572, prendendo come riferimento preesistenti impianti legislativi di epoca Tudor, dinastia inglese che ascese al trono (1485) con Enrico VII, vincitore della guerra delle Due rose (1455-85). I Tudors regnarono fino al 1603 e consolidarono il moderno Stato nazionale inglese. relativi all’assistenza di mendicanti e vagabondi. 
“…Incentrare la strategia di contrasto della criminalità mafiosa esclusivamente sul terreno tecnico investigativo, e non anche su quello politico culturale, è alla lunga inesorabilmente perdente…” Gian Carlo Caselli, su Corriere della sera, 1994
La crisi pandemica ha messo a dura prova le liberal- democrazie europee e nel mondo l’equilibrio si sta spostando verso le tirannie. I primi ministri del Vecchio Continente sono stati costretti a rinviare le elezioni, a chiudere città e regioni, a imporre il coprifuoco e molte altre limitazioni delle libertà fondamentali. Le decisioni sono state spesso assunte con poca chiarezza e trasparenza, forzando le regole costituzionali (si pensi in Italia all’abuso dei Dpcm, (fonte normativa secondaria che funge da atto amministrativo e viene adottato per mettere in pratica disposizione previste in norme precedenti, come anche per varare regolamenti attuativi). Dpcm è l’acronimo di Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Strumenti amministrativi inadatti a restringere libertà sancite dalla Carta) e causando la discriminazione di gruppi già emarginati e in difficoltà come immigrati e rom.
Spesso percepiamo e viviamo le regole come un impaccio. Fatichiamo ad accettare che certi nostri comportamenti ci siano imposti o vietati. Vorremmo fare quel che ci piace o ci fa comodo, senza il fastidio di sottostare, per esempio, al dovere di raccattare quel che i nostri cani “lasciano” per strada, oppure alla disposizione di sottoporre a revisione una vecchia auto che secondo noi non ha bisogno di niente.
Ma perché dobbiamo osservare le regole, fastidio o non fastidio? Innanzitutto perché ci sono. E poi perché non osservarle può comportare dei castighi. Così, rispettiamo il semaforo (cioè la regola che impone di passare solo col verde) sia perché il semaforo c’è – piazzato nel bel mezzo dell’incrocio – sia perché temiamo la multa o la perdita di punti sulla patente.
“…Incentrare la strategia di contrasto della criminalità mafiosa esclusivamente sul terreno tecnico investigativo, e non anche su quello politico culturale, è alla lunga inesorabilmente perdente…” Gian Carlo Caselli, su Corriere della sera, 1994.
Spesso percepiamo e viviamo le regole come un impaccio. Fatichiamo ad accettare che certi nostri comportamenti ci siano imposti o vietati. Vorremmo fare quel che ci piace o ci fa comodo, senza il fastidio di sottostare, per esempio, al dovere di raccattare quel che i nostri cani “lasciano” per strada, oppure alla disposizione di sottoporre a revisione una vecchia auto che secondo noi non ha bisogno di niente.
Ma perché dobbiamo osservare le regole, fastidio o non fastidio? Innanzitutto perché ci sono. E poi perché non osservarle può comportare dei castighi. Così, rispettiamo il semaforo (cioè la regola che impone di passare solo col verde) sia perché il semaforo c’è – piazzato nel bel mezzo dell’incrocio – sia perché temiamo la multa o la perdita di punti sulla patente.
Ma questa concezione della legalità (in senso oggettivo) non è tutto. C’è di più. Riflettendo anche poco, è facile per ciascuno di noi (legalità in senso soggettivo) arrivare alla conclusione che il rispetto della legge conviene. Serve ad evitare effetti dannosi per sé e per i terzi (se al semaforo passiamo col rosso, rischiamo di andare a sbattere e di fare del male a noi stessi e alle altre persone o cose coinvolte).
C’è poi una “convenienza” della legalità persino superiore. Vale a dire che l’osservanza della legge non solo può evitare conseguenze negative: può anche causare effetti positivi, benefici. Nel senso che solo seguendo le regole si può vivere serenamente insieme (ancora utilizzando l’esempio del semaforo: se nessuno rispettasse le regole della circolazione stradale, nelle grandi città la vita sarebbe di fatto impossibile, per il caos e la paralisi permanenti).
Dunque, rispetto della legge equivale a civile convivenza, un quadro costruito con riferimento all’interesse generale, che perciò offre a tutti speranze di vita migliore e di crescita ordinata. Altrimenti a prevalere saranno sempre i rapporti di forza ed i privilegi, cioè gli interessi particolari di questo o di quello (singolo, famiglia, gruppo, lobby, cordata, clan, organizzazione criminale….).
Dunque la legalità non è un problema di scontro fra “guardie e ladri” cui assistere con indifferenza: se vincono le guardie, se c’è più legalità, può migliorare la qualità della vita di ciascuno di noi. Ci conviene. Conviene soprattutto a chi ha più bisogno. Purchè ci si impegni “anche nel nostro piccolo affinché la prepotenza del più forte non prevalga sul più debole”; e ci si renda conto che “la giustizia è una cosa molto importante perché permette anche alle persone più deboli di non essere maltrattate, ma rispettate”

Gigino A Pellegrini

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