LA NATURA SI VENDICA

Beaumont sur Mer

Qualche anno fa, durante un lungo periodo passato a Firenze per concludere una ricerca, mi sono recato a urinare in uno dei bagni della facoltà di Architettura. Mentre mi lavavo le mani davanti ad uno specchio, notai che qualcuno aveva scritto con un rossetto da donna la seguente frase che oggi, dopo quasi quaranta anni ho ritrovato nascosta in una meravigliosa raccolta di poesie di Federico Garcia Lorca dal titolo “Romancero Gitano”. La frase, molto curiosa diceva: “ Il cinema di Eisenstein sta alla Rivoluzione come i Persiani alla Grecia di Maratona”. La trovavo strana all’epoca e ancora oggi.
Che un dogma attraversi la comunità umana, e immediatamente toccherà l’artista, risuonerà nel manufatto estetico. Lo si è visto in Russia, prima che l’arte venisse istituzionalizzata e diretta dall’alto.
Sono sempre più convinto che mai come oggi serve sviluppare una vera e legittima coscienza di classe. Destrutturare il sistema dei poteri forti ed egemoni non può e non dovrà essere scisso dal destabilizzare il loro regime fatto di ricatti, sfruttamento, false promesse e prepotenze.
I delegati a governare la Calabria, passano il loro tempo a genuflettersi ai loro capi presenti nel governo centrale e a parlare a caso dai loro pulpiti senza considerare quel che dicono. Temere eloqui. Dicesi anche: parlare in aria. Cioè: senza fondamento. Parlare a vanvera. Così scrive il poligrafo toscano, Francesco Serdonati, vissuto tra il XVI e il XVII secolo, alla lettera P dei suoi Proverbi. La presenza dell’espressione alla lettera P dei Proverbi di Serdonati è significativa poiché ci dice che, a quell’altezza cronologica, la locuzione avverbiale a vanvera veniva già percepita insieme al verbo parlare: “senza senso, a caso, senza fondamento, senza riflettere”.
Sulla provenienza di “parlare a vanvera” si sono fatte molte ipotesi. Alcuni studiosi, ad esempio, asseriscono che la radice di vanvera assomigli a quella di vano. Altri ritengono che la parola derivi dal “gioco della bambàra”, una locuzione, forse di origine spagnola, con la quale s’intendeva una perdita di tempo. A rinforzare questa tesi c’è il fatto che in certe zone della Toscana si dica proprio “parlare a bambera”.
Oggi gli etimologisti sono favorevoli a credere che parlare a vanvera sia una locuzione onomatopeica che deriva dal suono di chi parla farfugliando e dunque perde tempo senza riuscire a esprimere qualcosa di sensato.
Inoltre si raccontano altre origini, più o meno fantasiose, della parola vanvera. Una di queste racconta la meravigliosa storia di una bambina di nome Vera Van, alla quale piaceva ascoltare tutto; a cinque anni chiese di andare a scuola per ascoltare le lezioni. La maestra le disse che si sarebbe annoiata ma Vera scosse la testa e fu iscritta.
Quando la maestra faceva l’appello chiamava “Van Vera” e non Vera Van. A Vera piacque molto sentirsi chiamare così. Quando divenne adulta Vera divenne Uditrice Giudiziaria. Col tempo poi divenne vecchia e sorda e i suoi nipoti e pronipoti, che fino a quel momento le avevano raccontato i loro problemi, decisero di ricambiarle il favore. A turno andavano a trovarla e le raccontavano storie e discorsi senza senso.
Oh voi Amanteani, nobili cittadini, patrocinanti di una buona causa, difendete con l’armi il mio diritto di “parlare a vanvera” sulla giustizia, sulle malefatte dei prepotenti, sulle falsità di parecchi amministratori che si sono succeduti negli anni. Voi, cittadini, sostenete ora con le vostre spade il diritto e la giusta causa di tutti e non dei pochi.
Fate sì che rivivano nella vostra impresa quegli onori che furono dei nostri avi. Amanteani, amici, fidi seguaci del giusto, sostenitori del buon diritto, nessuno di voi s’accosti il disonore, ma fate che da libera elezione rifulga il merito da questi parassiti. Combattete urlando le parole attribuite secondo la tradizione a Marco Giunio Bruto nell’atto di uccidere Giulio Cesare: “ Sic semper tyrannis”. “Così sempre ai tiranni”.
Ora verrò accusato, come spesso accade, di parlare a vanvera facendo uscire il fiato, o peggio. Alle spalle ci sarebbe il suono fan-fan, tipico dei tromboni militari. Ma la vanvera, o “piritera”, era anche l’oggetto simile all’antico prallo che non era altro che un uovo di ceramica o di legno dotato di due fori comunicanti. Tale uovo durante i lunghi banchetti dei Faraoni, degli Imperatori Romani, insomma dei Potenti del mondo, veniva infilato nel loro pertugio anale al fine di attenuare l’effetto dei miasmi delle flatulenze. Al suo interno vi si infilavano delle erbe odorose, mentre il gas, nel suo attraversamento, provocava una curiosa nota musicale tipo trombetta o fischietto.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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